Leggendo articoli dedicati alle varie band è impossibile non accorgersi che vi sia un’abitudine tra gli addetti ai lavori (positiva o negativa, lasciamo ad altri le considerazioni finali) di cercare di codificare sotto le più bizzarre etichettature tutte quelle esperienze musicali che, partendo da un punto ben preciso o da un solido retroterra (che può esser il metal, come in questo caso), apportano nuove sonorità al genere che prediligono, magari attingendo da altri che sembrano distanti sideralmente, ma che se ben mescolati riescono a dare quel giusto equilibrio a un gruppo, a un disco, a un modo di intendere la musica.

La band che oggi andiamo a conoscere è davvero difficile da “etichettare” e nemmeno proviamo a farlo: loro sono The Lotus, gruppo sorto nel 2002. Dopo aver autoprodotto un disco con Cristiano Santini, sono riusciti a ottenere in seguito un contratto con l’inglese Copro Records. Il loro Forgotten Silence è un lavoro molto interessante, consigliato a chi ama i Porcupine Tree o che non disdegna i Blackfield o i Dream Theater. Una volta incontrati, la prima cosa che ci dicono è: “Parlare del genere di musica che facciamo è difficile e ha messo in crisi anche ci ha recensito il nostro lavoro! Ci hanno collocato nel rock, nel metal, nel progressive, ma in realtà non rientriamo pienamente in nessuno di questi filoni… la difficoltà di categorizzare la nostra musica deriva dal fatto che noi per primi non ci siamo mai preoccupati di farlo, componiamo e suoniamo senza porci alcun tipo di paletto di genere e mettiamo nei nostri brani tutto quello che abbiamo dentro, senza filtri né adattamenti stilistici, che si tratti di un emozione, un dolore, un pensiero, una critica sociale… unisci tutto e avrai The Lotus!”.

Il progetto The Lotus nasce nel 2002, dopo diversi cambi di line up, ma finalmente nel 2008 con l’entrata nel gruppo di Marco Lanciotti alla batteria e Kristal Cross alle tastiere, la band comincia ad avere una connotazione ben precisa. E assieme a Rox (vocals, tastiere e piano), Luca De Falco (chitarre) e Davor Batalj (basso) si è creata la formazione attuale. Il loro “Forgotten Silence” è un disco caratterizzato da una buona dose di istrionismo che non disdegna l’interiorizzazione di alcuni input cari a tradizioni musicali apparentemente distanti dal metal come potrebbe essere certo post-hardcore. E nella sua complessità, si lascia alle spalle tutto ciò che separa l’ortodossia metallara dalla contemplazione di un orizzonte privo di cliché dando quindi un risultato autentico.
Abbiamo intervistato i Lotus per conoscerli ancor più approfonditamente.

Quali sono le ambizioni dei Lotus?
Senza dubbio stiamo lavorando duramente per fare della musica la nostra vera professione, come artisti a tempo pieno. È estremamente difficile per molte ragioni, ma ognuno di noi ha il sogno di poter lavorare esclusivamente alla propria band e alla propria carriera di musicista, e per quanto arduo possa essere il cammino è quello che tutti noi puntiamo a realizzare!

Cos’è che consigliereste a un discografico e come considerate il panorama musicale italiano?
La musica in Italia purtroppo sta palesemente perdendo colpi, soprattutto se si parla di band emergenti. La mancanza di concrete possibilità di farsi conoscere e di attenzione da parte del mercato che si rivolge sempre di più a prodotti ormai decotti o ripetitivi fino alla nausea fa sì che le band non riescano a farsi valere come dovrebbero (e potrebbero). A un discografico consiglieremmo di scommettere un po’ di più su realtà finora poco considerate. Per esempio la musica rock (di tutti i generi) in Italia è vivissima e offre un panorama musicale enorme, che non ha nulla da invidiare a realtà di altri Paesi. Questi ultimi però offrono possibilità decisamente migliori a band come la nostra, cosa che abbiamo vissuto in prima persona nel nostro recente tour in Inghilterra. Se si investisse qual cosina di più in spazi e produzioni per questo ‘mondo nascosto’ artisti e pubblico ne gioverebbero moltissimo!

Come mai avete scelto di comporre in inglese?
Probabilmente per una questione di sonorità, niente di più. Abbiamo visto che l’inglese si adatta molto meglio ai testi delle nostre canzoni e cantato dà un impressione decisamente diversa dall’italiano. Perciò abbiamo continuato così. Ormai ci viene naturale scrivere in inglese. Oltretutto offre un notevole vantaggio comunicativo quando si tratta di portare la nostra musica in realtà al di fuori dell’Italia.

Quali sono i riscontri che avete ricevuto finora e cos’è che vi stimola nel continuare sulla vostra strada?
Dall’uscita del nostro primo disco, Forgotten Silence, possiamo dire che siamo estremamente soddisfatti dei risultati! Praticamente tutte le recensioni hanno apprezzato moltissimo l’album, alcune in maniera anche entusiastica, e le serate live ci hanno premiato con un pubblico che ha gradito molto quello che facciamo ed è in rapido aumento. Senza dubbio la strada che stiamo percorrendo spesso è davvero ardua e difficoltà e delusioni sono all’ordine del giorno, ma è così per tutte le band emergenti. Il pubblico e la critica però sembrano gradire molto ciò che facciamo, e questo sicuramente ci aiuta nel percorrere la nostra strada. Possiamo ritenerci più che soddisfatti insomma, e motivati ad andare avanti!

Partecipereste a un talent show?
In tutta onestà no, almeno allo stato attuale. Oggigiorno i talent show sono per la maggior parte grossi calderoni che offrono allo spettatore abilità musicali come si serve un piatto in un ristorante o come si pubblicizza un prodotto. Chi si esibisce in questi show è a volte bravissimo, ma trattato come un concorrente di telequiz in fondo, se non come un personaggio televisivo vero e proprio, costruito ad arte. Crediamo che la musica non sia sufficientemente valorizzata in questo modo, dietro a una canzone, e soprattutto dietro a un artista dovrebbe esserci molto di più. E oltretutto c’è una desolante mancanza di pezzi squisitamente e totalmente INEDITI nella maggioranza di questi programmi. Così facendo non si promuove affatto la parte artistica, ma sono quella dell’intrattenimento. Sono più simili a un reality show o a un gioco a premi che a un vero spazio dedicato alla musica. E stando così le cose tutto questo non fa proprio per noi. Non mancano artisti che tramite questi show mostrano nonostante tutto un talento e una bravura eccezionali tali da spiccare anche in situazioni simili, ma di fatto sono casi rari…

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