Non solo belle, non solo bionde, non solo star. Ma anche malate. Di più: pubblicamente malate. Come Xeni Jardin, la blogger e giornalista esperta di tecnologia che ha raccontato su Twitter, con la hashtag myfirstmammo, tutto il percorso, doloroso, dalla scelta di sottoporsi a una prima mammografia fino alla scoperta del cancro al seno. Non un’amica al telefono con cui condividere intimo dolore, ma 50.680 follower pronti a seguire in diretta l’esperienza più personale che ci sia: la scoperta della propria, mortale, vulnerabilità.
I tweets di Jardin, nome d’arte dal fascino floreale, sembrano gli sms di una sorella in difficoltà: «Ho deciso che l’esperienza della mammografia può essere meno spaventosa se la trasformo in un gioco». Una richiesta di pubblico sostegno, presto diventata una vera confessione planetaria: dalla speranza, alla paura, alla possibile resurrezione. E migliaia di segnali di incoraggiamento, di lacrime digitali, di strette di mano virtuali.
La storia di Madame Boing, come si fa chiamare Jardin, è una delle esperienze in grado di raccontare il clima della nostra epoca, di semplificare attraverso l’esperienza un pezzetto di presente. Non si tratta di giudicare la paura, perché è impossibile e disumano farlo. Né di pretendere di valutare una personalissima scelta, sarebbe non solo poco cattolico ma anche poco amichevole. E persino fuori tempo massimo nel mondo dei follower dall’emozione a portata di mano e di tastiera. Però la decisione di Miss Jardin è utile a capire come nel tempo è mutato il senso del successo e quello della paura.
Le star non sono più come gli astri, quelli veri, luccicanti, lontani, sempre splendenti. Mai una ruga, mai una brutta figura o un sorriso storto. Le dive, perché Xeni in America lo è, sono scapigliate e in accappatoio, così come si è fotografata lei appena prima di fare la mammografia. Le dive sono brutte, persino, come una malattia che ti costringe a guardarla in faccia.
E se il web ha reso la notorietà una roba quotidiana, mai algida e fredda come una principessa monegasca d’altri tempi, la rete è diventata anche il Prozac dei contemporanei. Forse per Xeni Jardin lo è stato. Il tempo di scrivere un tweet equivale a quello di prendere una pillola antidepressiva: ci vuole un attimo e sortisce quasi subito il suo effetto. Abbracci virtuali come scosse cerebrali.
Con il progresso tecnologico, brillante, funzionale, futurista siamo tornati a uno dei sentimenti chiave dell’umanità: l’empatia. Ci piacciono (finalmente) i deboli, li abbracciamo quando vogliono essere consolati. Una grande compassione globale, ecco la rete cosa (anche) è.