L’uscita in questi giorni nelle librerie de Il famoso magico qukapik (Odoya Edizioni), il nuovo romanzo di Darien Levani, scrittore e giornalista albanese da anni residente in Italia, a Ferrara, mi ha fatto riflettere su quella che, molto semplicisticamente, viene definita “letteratura migrante”.
Simbolismo delle date della Storia, servizi segreti, dittatori di levante, uccelli dalle proprietà sensoriali, partite di scacchi telepatiche: così si presenta il libro di Levani, la storia, un po’ Kurt Vonnegut un po’ Tom Robbins (a dimostrare che le contaminazioni culturali possono essere infinite) di Glauko, un giovane dalle mille risorse, che ruba la posta e ricatta i destinatari e vende idee ai grandi supermercati. Glauko vive nell’Impero Occidentale, non diverso dalla nostra Europa. Sullo sfondo di una prossima guerra tra l’Occidente (una sorta di repubblica governata da un certo Wibas) e l’Oriente (una monarchia dittatoriale o forse no, governata da tale Kuzatumba), la figura simbolica del qukapik, uno strano uccello dalla forza magica, che fornisce eterno potere.
Il romanzo, un buon romanzo, conferma che molti scrittori stranieri che si cimentano con l’italiano, aggiungono sonorità, cultura e tradizione alla nostra lingua e al nostro piacere di lettori. Come scrive Alessandra Coppola: “tutto quello che è successo già all’inglese, al francese, anche al portoghese, nella letteratura con termine controverso definita postcoloniale, per noi è una novità: l’italofonia. Fenomeno cominciato timidamente negli anni Novanta, esploso nell’ultimo decennio con la trasformazione dei migranti in abitanti stabili del nostro Paese, con la crescita di giovani scrittori italianissimi per formazione e sensibilità, ma portatori — per l’origine della famiglia — di culture altre”.
E proprio in questi ultimi anni sono stati pubblicati moltissimi testi di indubbio valore, dai romanzi dell’italosomala Igiaba Scego, a quelli dell’algerino Amara Lakhous, dall’iracheno Younis Tawfik al romeno Mihai Mircea Butcovan che con il suo divertente Allunaggio di un immigrato innamorato (Beza) prima e poi con Dal comunismo al consumismo (Linea BN Edizioni) racconta, con quello che può essere definito un doppio sguardo, la società odierna. Un ponte fra due culture, un amalgama letterario efficace e di notevole spessore culturale.
A Roma c’è una vitale casa editrice che pubblica autori stranieri che hanno scelto la lingua italiana per esprimersi: Compagnia delle Lettere nasce con l’intento di aprire una finestra nel mondo editoriale dedicata agli autori migranti e agli scrittori dei paesi emergenti del sud del mondo, ancora non tradotti in lingua italiana. Nel suo catalogo si possono annoverare opere di grande successo fra cui Nettare rosso, di Marco Wong, cinese di seconda generazione che unisce la grazia orientale con la carnalità mediterranea, o Storie di extracomunitaria follia, di Claudiléia Lemes Dias, viaggio polifonico in una Roma multiculturale e definitivamente globalizzata.
Con i loro lavori tutti questi autori apportano nuova linfa alla nostra lingua madre e, come scritto anche nella presentazione di Compagnia delle Lettere “creolizzano l’italiano, lingua di Dante e, ora, lingua delle nuove generazioni che abitano il nostro Paese”.
A qualcuno potrà anche non piacere, ma prima o poi dovrà rassegnarsi al presente, un presente multiculturale e differenziato. Il processo è e sarà sempre più veloce. Non servono a nulla e non fanno bene stupide posizioni di isolazionismo pseudo culturale, ci vogliono curiosità, dinamismo e vitalità. Bisogna creolizzarsi.