È un banco di prova dal quale dipende molta della credibilità del governo tecnico del Prof. Monti, quello al quale il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera è chiamato a sedersi nelle prossime ore a proposito del c.d. Beauty Contest per le frequenze tv, ovvero la gara pubblica (n.d.r. si fa per dire) attraverso la quale il suo predecessore, Paolo Romani avrebbe voluto regalare al duopolio Raiset (n.d.r. Rai e Mediaset) ulteriore capacità trasmissiva per irradiare i contenuti della solita vecchia tv.
Allo stato, infatti, dopo l’annuncio – già formalizzato con una comunicazione proprio al ministero di Corrado Passera, amministrazione appaltante – di Sky di ritirarsi dalla gara, il rischio è che un’iniziativa che avrebbe dovuto servire, anche secondo le indicazioni dell’Unione Europea, ad accrescere la concorrenza ed il pluralismo nel mercato televisivo italiano, finisca con il produrre come unico effetto quello di rafforzare i principali – per non dire i soli – paleolitici soggetti già padroni del mercato: RAI, Mediaset e Telecom.
Nessun soggetto nuovo – complice un bando di gara scritto con il malcelato intento di cambiare tutto per non cambiare nulla – ha concrete possibilità di aggiudicarsi frequenze Tv idonee a consentire di stimolare, nei prossimi vent’anni (n.d.r. tanto durerà la cessione dei diritti di uso regalati ai vincitori della gara), la concorrenza nel mercato televisivo e di garantire al Paese maggiore pluralismo di quanto – nulla – ve ne sia, sin qui, stato.
Innegabile che se all’esito del Beauty Contest l’Italia si risveglierà con un telecomando popolato dagli stessi dinosauri televisivi di sempre, il Beauty Contest sarà stato un fallimento per il Paese, un fallimento la cui responsabilità sarà di chi lo ha organizzato e diretto al fine di favorire i soliti amici e amici degli amici e di chi – e dunque anche dell’attuale governo tecnico – avrebbe potuto bloccare questo nuovo “sacco” della tv ma per “quieto vivere istituzionale” o semplice – ma non meno grave – mancanza di coraggio, non lo avrà fatto.
Ecco perché il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera dovrebbe ora fermare – e nulla osta a che lo faccia – il Beauty Contest.
Ma c’è di più.
L’Italia del governo Monti, quella dei sacrifici che dovrebbero servire a risollevare il Paese dalla crisi economica con pochi precedenti nella storia nella quale siamo precipitati (e ci hanno lasciato precipitare) non può, evidentemente, permettersi il lusso di regalare a un nugolo di imprese multimilionarie come Rai, Mediaset, Telecom, miliardi e miliardi di euro (tale è il valore stimato delle frequenze oggetto del Beauty Contest). Non si può, allo stesso tempo, chiedere sacrifici straordinari ai cittadini, mettere – sebbene in nome di una insuperabile “ragione di Stato” – le mani nelle loro tasche e non rivedere scelte attraverso le quali si renderebbero imprenditori già ricchi, enormemente più ricchi e lo stato straordinariamente più povero.
A questo punto tocca al neo-ministro e al governo del Professore, dar prova di indipendenza e reale interesse per il futuro economico e democratico del Paese.
Monti e Passera possono scegliere di ignorare il problema e voltarsi dall’altra parte, assumendosi, però, la responsabilità – almeno politica – di aver avallato una scelta irresponsabile, illegittima, antidemocratica e partigiana del precedente governo – quello del tele-comando – o, invece, intervenire, bloccare il Beauty Contest e far capire all’Italia che la musica, finalmente, è cambiata sul serio e che anche gli amici degli amici di un tempo, sono oggi considerati come cittadini e imprenditori comuni, privati di ogni privilegio o trattamento di favore. Nulla osta, sotto un profilo giuridico a che il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, disponga la revoca del bando del c.d. Beauty Contest per evidenti sopravvenute ragioni di pubblico interesse o il suo annullamento stante la sua originaria palese illegittimità. Siamo, oggi, un Paese sull’orlo del default economico e in evidente crisi nel quale lo Stato non può – anche ammesso che fosse lecito in precedenza – permettersi il lusso di rinunciare consapevolmente agli introiti multimiliardari che potrebbero derivare dalla vendita, a prezzo di mercato, delle frequenze tv.
Difficile, d’altra parte, sostenere – come pure si sta facendo in queste ore – che i diritti sulle frequenze non siano un “bene giuridico” e che, pertanto, non possano, comunque, essere venduti: che sia giusto o sbagliato sotto un profilo etico che lo Stato si senta “proprietario dell’aria”, infatti, è innegabile che le frequenze oggetto del Beauty Contest siano attualmente considerato un bene giuridico-economico a tutti gli effetti, tanto che lo Stato intende esercitarne la “titolarità”, concedendone in uso i relativi diritti proprio come avviene con le sorgenti, le miniere, le spiagge e decine di altri beni che, forse, tutti sognamo insuscettibili di essere considerati “beni giuridici” ma, invece, lo sono.
Egualmente superabile sembra l’eccezione di chi, dinanzi all’eventualità della revoca o dell’annullamento del bando per il Beauty Contest, avverte l’esigenza di avvisare il ministro dello Sviluppo economico che, qualora optasse per tale soluzione, le società partecipanti alla gara, potrebbero agire per il risarcimento del danno. Anche ammesso che chi si aspetta un regalo e si è preparato a riceverlo possa esigere un risarcimento dall’amministrazione che, per ragioni di pubblico interesse, cambia idea e si pente, infatti, l’entità di tale indennizzo sarebbe, comunque, straordinariamente inferiore alla perdita economica che lo Stato soffrirebbe lasciando proseguire il Beauty Contest.
Il Governo dei Professori è alla prova del tele-comando: sul tasto uno un programma di continuità e connivenza con il passato recente di questo Paese e sul tasto numero due un programma di profondo rinnovamento culturale, sociale, economico e politico.
Dove si sintonizzerà?