A Modena le estorsioni e le bische clandestine. Per un periodo gli inquirenti hanno sospettato che una delle basi dove trovava rifugio fosse a Parma, centro dove i casalesi hanno investito moltissimo nel mattone
Con la città ducale, aveva quasi finito per “uscire a parenti” tanto che il fratello di Michele Zagaria, Pasquale, aveva sposato la figliastra di Sergio Bazzini, un imprenditore emiliano attivo, oltre che nella provincia di Parma, anche in quelle di Milano e Cremona. Condannato a 3 anni e quattro mesi per associazione a delinquere di stampo camorristico (facendo registrare un record: uno dei primi settentrionali a finire nelle maglie della giustizia per 416 bis), era stato ritenuto una testa di ponte in loco. Compito suo sarebbe stato quello curare gli interessi del clan in due regioni strategiche del nord, Emilia Romagna e Lombardia. In particolare si ritiene che qui fossero stati reinvestiti i milioni di euro, frutto di attività illegali come il narcotraffico, le estorsioni e gli appalti.
La vicenda giudiziaria di Bazzini, nata dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Nicola Cangiano, è stata di recente rispolverata dalle cronache dei giornali. È accaduto solo una settimana fa scarsa, il 1 dicembre, quando Michele e il terzo rampollo della famiglia Zagaria, Carmine, entrambi già in carcere, sono stati raggiunti da una nuova ordinanza di custodia cautelare notificata anche al cugino Pasquale Fontana e l’attuale reggente del gruppo, Michele Fontana.
In quell’occasione è stato ricordato un pranzo a Roma. Un pranzo che risale al 2007 e che non ha rilevanza penale, ma che è un buon indicatore dei rapporti con gli emiliani. Avvenuto in un ristorante della capitale, aveva visto la partecipazione anche del costruttore Bazzini e di un ex assessore, Giovanni Paolo Bernini, per quanto quest’ultimo abbia sempre negato di sapere chi fosse Zagaria, definito da altri commensali come un “qualunque” imprenditore campano.
Tra i primi a portare alla luce i contatti tra i casalesi e l’Emilia Romagna era stato l’allora pubblico ministero Raffaele Cantone, oggi in servizio presso il massimario della Cassazione. Oltre alla questione Bazzini, aveva fatto sequestrare un’immobiliare della città ducale che aveva acquistato lotti di terreno a Milano spendendo 8 milioni di euro. Quasi una cifra “modesta”, se si considera che quelle aree avrebbero visto la costruzione di nuovi lotti residenziali moltiplicando quindi l’investimento.
Ma sotto l’egida dei casalesi non c’è solo Parma. A fine febbraio, a Modena, dove le attività principali sembrerebbero quelle del racket e delle bische clandestine, era stato arrestato un avvocato autoctono finito nella rete dell’operazione Pressing II (già un’altra ce n’era stata con questo nome), condotta dalla questura locale e dallo Sco (Servizio centrale operativo). In questo caso il professionista emiliano era stato considerato il referente per un giro di estorsioni gestite dal clan dei casalesi, che in base a quanto ha scritto di recente la Dia in zona hanno costituito “sodalizi continui […] nei settori economico-imprenditoriali e traffico di stupefacenti”.
Le tracce dei casalesi e della famiglia Zagaria si ritrovano anche altrove. Per esempio a Sant’Agata Bolognese, comune a una trentina di chilometri dal capoluogo di regione, dove nel settembre 2009 l’arresto di un affiliato del clan che qui soggiornava aveva provocato una specie di rivolta contro la stazione dei carabinieri del posto. E appena prima di questo episodio, nell’agosto, a Rimini era stato arrestato il figlio di Francesco Schiavone, conosciuto come Sandokan.
A inizio 2011, il procuratore aggiunto di Modena Lucia Musti, già pm in forza alla Dda di Bologna, aveva ricordato che in provincia, a Nonantola, era stato arrestato Alfonso Perrone, uno dei capi dei casalesi, intercettato mentre parlava con una persona la cui voce era stata giudicata compatibile con quella di Michele Zagaria (nota di colore: l’appartamento emiliano dell’affiliato era stato trasformato in una specie di residenza reale, con tanto di trono). E non si era escluso, in quell’occasione, che lo stesso capastorta possa essersi nascosto in zona almeno per un breve periodo.