Il dato segna un meno 0,9% su base mensile e, quel che più impressiona, nello spazio di un anno il calo è del 4,2%. Il presidente dell’Istituto di statistica Enrico Giovannini ha parlato di “dato molto negativo”
Non è ancora la prova definitiva – a rigore di definizione servono due trimestri consecutivi di decrescita – ma indubbiamente può considerarsi un valido indizio. Il sistema Italia viaggia ormai verso la recessione. Di certo a partire dal 2012, ma forse, almeno su questo sembrano convergere statistiche e osservatori, il fenomeno potrebbe già essere in atto. Ad alimentare il sospetto ci ha pensato da ultimo il tanto atteso dato sulla produzione industriale italiana, calata dello 0,9% su base mensile, dello 0,5 nell’arco del trimestre e, quel che più impressiona, del 4,2% nello spazio di un anno. Decisamente un brutto segnale, come ha voluto precisare, senza mezzi termini, lo stesso presidente dell’Istituto di statistica Enrico Giovannini, che ha parlato oggi di “dato molto negativo”.
Sul calo produttivo pesano in modo particolare le contrazioni patite dai settori dei beni di consumo e dell’energia, che registrano entrambi un poco confortante -5,3%. Male anche i raggruppamenti dei beni intermedi (-3,8%) e dei beni strumentali (-3%). La maglia nera del mese se la aggiudica il segmento della fabbricazione di prodotti chimici (-12,4%), seguito dalle industrie tessili e del comparto abbigliamento, pelli e accessori (-8%), e dall’industria del legno, della carta e stampa (-7,5%). In controtendenza l’attività estrattiva (+13,3%) e la fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+4,6%), ma si tratta di casi isolati che non cambiano la sostanza del dato. E adesso, come si diceva, il timore è che la già debolissima ripresa abbia esaurito l’inerzia per scivolare addirittura in territorio negativo.
“La recessione tecnica si ha dopo due trimestri consecutivi di riduzione del Pil – ha spiegato Giovannini con un intervento ripreso dalle principali agenzie di stampa – . Questa mattina abbiamo avuto il dato sull’industria che è il primo del terzo trimestre. Le stime effettuate da molti revisori – ha aggiunto – indicano che non solo il terzo ma anche il quarto trimestre potrebbe essere negativo, in quel caso ci sarebbe recessione tecnica. Ma solo più avanti saremo in grado di capire”. I sospetti negativi, insomma, non mancano. E per qualcuno, forse, sono già sufficienti a imporre un ripensamento sulla solidità del sistema Italia.
E’ il caso dell’agenzia di rating cinese Dagong che, proprio oggi, ha annunciato il taglio del rating italiano da A- a BBB. Per l’agenzia di Pechino, che starebbe anche pensando di aprire a Milano la sua prima filiale europea (anche se non ha ancora chiesto l’autorizzazione per operare nel Vecchio Continente), la solidità italiana sarebbe minata tanto dalle scarse prospettive economiche (da cui il mantenimento dell’outlook negativo) quanto dalla crisi del debito aggravatasi negli ultimi mesi. Tutto molto preoccupante, per almeno un paio di motivi. In primo luogo la retrocessione in serie B rappresenta una novità assoluta per l’Italia che mai, in passato, aveva subito così tanti declassamenti da uscire dal famoso gruppo A (debito di qualità alta o medio alta). In secondo luogo perché la decisione delle autorità cinesi rischia ora di favorire scelte analoghe da parte delle tre grandi agenzie Usa.
I problemi italiani, insomma, restano evidenti. Ma non costituiscono comunque un caso isolato. Lo scorso ottobre, le autorità europee hanno registrato un calo mensile (su settembre) della produzione industriale pari al 2% per l’eurozona e all’1,3 per l’Unione a 27. Due giorni fa la Spagna ha annunciato un calo del 4% su base annuale, il dato peggiore dal gennaio 2010, mentre il Regno Unito ha comunicato una contrazione mensile dello 0,7%, un risultato più negativo del previsto. Fa eccezione la Germania, che ha visto la produzione aumentare dello 0,8% nel mese di ottobre. Il quadro europeo resta dunque sostanzialmente negativo e a pesare sono almeno due fattori. Da un lato la pressione recessiva del’austerity che deprime i consumi incidendo negativamente sull’offerta. Dall’altro la stretta creditizia, giunta ormai a livelli preoccupanti. All’Europa e alle singole autorità nazionali spetterà ora il compito di stimolare l’erogazione del credito da parte delle banche verso cittadini e imprese. Un obiettivo non facile di fronte alla svalutazione degli assets (soprattutto titoli sovrani) in mano alle banche stesse e alle pressioni provenienti da Basilea per il rafforzamento dei requisiti patrimoniali. La strada della ripresa, insomma, è ancora in salita.