Lo statuto non è uscito del tutto indenne dall’esame del Ministero, che ha elaborato sei pagine contenenti una serie di osservazioni per meglio adeguare il testo alla riforma. Rilievi accolti solo in parte dall’Alma Mater, dal momento che la legge non obbliga le università ad applicare le indicazioni del governo.
Tra gli articoli bocciati da Roma e riscritti, c’è anche quello sulla possibilità per chi ha ricoperto cariche sindacali di far parte degli organi accademici. Al contrario di quanto approvato in estate, nel nuovo testo non ci sarà alcun divieto, così come chiesto non solo dal Ministero ma anche dai sindacati, da sempre molto critici nei confronti delle scelte di Dionigi. Un altro punto passato sotto la lente romana riguarda la Consulta del personale tecnico amministrativo. Per il Ministero non è necessaria, anzi “rischia di appesantire l’iter decisionale”. Ma il rettore ha preferito tirare dritto. Così come ha mantenuto la sua posizione sulla durata del mandato dei componenti del Cda: a Bologna resteranno in carica tre anni, e non quattro come consigliato da viale Trastevere. Confermate anche le cosiddette “quote rosa”, ossia la possibilità, durante l’elezione del Senato accademico, di annullare la scheda se le due preferenze non sono sono una maschile e una femminile. Mentre per quanto riguarda il Direttore generale sarà nominato su proposta del rettore.
Entro la fine dell’anno lo statuto sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale. E dopo altri 15 giorni entrerà in vigore. Gli studenti dovranno aspettare l’anno prossimo per toccare con mano i cambiamenti. Se è vero che già in primavera saranno costituite le 11 Scuole che andranno a sostituire le attuali 23 Facoltà e insediati i nuovi organi, solo nel prossimo anno accademico l’Ateneo cambierà volto.
Una rivoluzione, quella sancita dalla nuova carta, che non piace a tutti. L’Intersindacale, gruppo che riunisce diverse sigle, pur riconoscendo alcuni miglioramenti, è tornata a ribadire la sua contrarierà al testo. “Siamo soddisfatti per l’eliminazione della norma che inibiva l’accesso agli organi accademici a chi avesse ricoperto incarichi sindacali nell’ultimo anno – si legge in una nota – Ma non è stata colta l’occasione, in un nuovo scenario politico, per ripensare alcune scelte, migliorando la trasparenza, la democrazia nell’Ateneo e la più ampia condivisione, che fin qui è mancata”. Restano critici anche i Docenti preoccupati, il collettivo dei professori no Gelmini: “È uno statuto che amplifica i guasti della legge, invece che aggiustarli. Ne esce fuori un ateneo dove il potere rimane concentrato nelle mani di pochi”.