Ma allora aveva ragione il vecchio, obsoleto e un po’ vituperato Marx quando sosteneva che all’origine del Capitale c’è il furto? Per tradurre questo concetto in chiave moderna diciamo pure l’illegalità e il malaffare di chi, volendo produrre ricchezza, inevitabilmente deve ricorrere ad organizzazioni in grado di imporre le loro “regole” nel mondo senza legge degli affari. Vecchio dibattito e vicende recenti, ma quello che più stupisce è che Marx nella confusione della “crisi globale” stia tornando di moda.
Premesso che poco capisco di default e politiche monetarie e che ho sempre più difficoltà a comprendere l’astruso linguaggio degli economisti, spesso mi trovo a pensare che ciò che davvero non funziona è la distanza incolmabile tra i bisogni della gente -la “centralità dell’uomo- con l’organizzazione socio-economica che ci ha governato in tutto il secondo dopoguerra. A partire dal patto tra mafia e politica che doveva salvarci dal comunismo e ha trasformato il nostro Paese in un moderno Far west.
Piange la massaia di Casapesenna nel bar del paese dopo la cattura del boss del cemento:“Lui ci dava da mangiare a tutti, garantiva il lavoro ai nostri figli, ora chi lo ha preso non lo farà”. Poco importa che qualcuno di questi figli nel frattempo sia finito sottoterra, Zagaria gestiva un clan mica un’opera pia. Ma la massaia di Casapesenna dice quello che tutti sappiamo: in quattro regioni del sud il territorio è gestito dalla criminalità organizzata, versione sanguinaria e made in Italy del liberismo più feroce che lascia lo Stato alla porta, al massimo consente ai suoi “servitori” di trasformarsi nei personali camerieri dei boss a colpi di 50 e 100 euro a voto.
Non deve stupire se nella stessa regione di Zagaria i santuari di Pompei cadono a pezzi, i fiumi non trovano sbocco al mare, le montagne si sgretolano sul lungo costa a causa dell’abusivismo selvaggio. Il boss del cemento costruisce dove c’è mercato, non consulta il Wwf. Non stupisce neppure che saltato Guarguaglini traballino gli onerosi contratti di Finmeccanica in giro per il mondo. In solitudine tento di rispolverare quelle teorie keynesiane che andavano per la maggiore quando studiavo economia politica con Lucio Colletti, poi da tutti ripudiate. Anche dal Professore. Invece c’è del buono nel ritenere che tocchi allo Stato mediare gli interessi e non viceversa, ma non è andata così.
Forse non sarete d’accordo, ma io vedo un filo nelle vicende che da giorni affollano le prime pagine dei giornali. Dalla cattura del boss Zagaria alla caduta di Guarguaglini, il “grande manager” di Finmeccanica capace di difendere gli interessi italiani nel mondo a colpi di tangenti, fino alla “manovra” di risanamento dei nostri disastrati bilanci da parte di super Mario che tutto può tranne mettere mano ai “santuari svizzeri” nei cui caveau si accumulano i capitali. Sporchi o puliti poco conta, “pecunia non olet” ed è prudente farsi i fatti propri perché, come diceva Giovanni Falcone, “chi tocca quei fili muore”.
Non basta arrestare Zagaria per ripristinare la legalità, occorre riappropriarci del territorio, garantire lo sviluppo del sud, come ogni tanto ci ricorda il presidente Napolitano, “dare da mangiare alla gente” come chiede la massaia di Casapesenna. Ridisegnare quelle linee d’intervento dello Stato che siano in grado di coniugare produzione, dignità del lavoro, leggi dello Stato. Ma ormai è tardi dicono gli economisti perché il capitale finanziario ha sostituito il capitale industriale e non c’è più nessun rapporto tra ricchezza e moneta. Marx aveva previsto 150 anni fa che la società capitalistica sarebbe alla fine approdata a una fase di “anarchia totale” perché incapace di governare le proprie contraddizioni. Mica lo dico io, lo dicono gli economisti ex liberisti.