La ricerca Bankrolling climate change rivela come siano venti gli istituti di credito che hanno finanziato con decine di miliardi di euro l'industria del carbone, la fonte di energia maggiormente responsabile del cambiamento climatico. Nella lista anche l'italiana UniCredit
La ricerca, intitolata Bankrolling climate change e condotta da un gruppo di associazioni fra cui il network internazionale BankTrack e l’organizzazione ambientalista tedesca Urgewald, è durata oltre sette mesi. Secondo gli autori è stato particolarmente difficile reperire i dati, e le cifre riportate nella ricerca sono state ottenute analizzando investimenti, obbligazioni ed altri strumenti di finanziamento degli istituti bancari, ma soprattutto attraverso i rapporti delle maggiori compagnie energetiche e minerarie operanti nel settore. Un fatto che, secondo gli autori, ha reso i numeri registrati decisamente inferiori a quanto non siano veramente.
Ma perché “killer del clima”? Perché senza questi ingenti investimenti il carbone non si sarebbe potuto espandere ulteriormente, come ha fatto nell’ultimo decennio. Ma ciò che sembra indispettire maggiormente i ricercatori, sono le dichiarazioni ambientaliste che ognuna di queste banche riporta sui suoi siti Internet. Come quella la nostra UniCredit che ribadisce “il suo impegno nel raggiungimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto in tutte le nazioni in cui è presente”.
Per Heffa Schücking di Urgewald, le centrali a carbone sono le principali responsabili dei cambiamenti climatici, e “nonostante il fatto che il climate change stia già avendo impatti sulle società più vulnerabili del pianeta, ci sono piani in abbondanza per costruire altre nuove centrali”. Motivo per cui, secondo Shücking, gli azionisti di queste banche dovrebbero essere preoccupati: se il clima dovesse andare fuori controllo, infatti, gli impatti sull’economia e sulla finanza sarebbero notevoli. Inoltre, aggiunge la ricercatrice tedesca: “Se le banche forniscono denaro a progetti di questo tipo, faranno naufragare tutti i tentativi di mantenere la soglia del riscaldamento globale sotto i 2ºC”, il limite oltre il quale la situazione, secondo i climatologi, potrebbe sfuggire di mano.
Eppure il Green Banking da almeno vent’anni è una pratica in continua espansione. Non solo con il fiorire di realtà, piccole ma non per questo meno attive, come quella di Banca Etica, ma anche attraverso le più influenti del pianeta. Molte fra le 20 banche accusate dallo studio in questione, infatti, hanno già fatto propri i Climate Group Principle, per cui limitare la produzione di gas serra è la priorità assoluta. E anche il gruppo UniCredit ha ottenuto la registrazione Emas per la certificazione ambientale delle proprie attività.
Mosse dettate sicuramente dalla crescente sensibilità ambientale di strati sempre più ampi dei propri correntisti, ma che hanno necessariamente portato i principali istituti di credito a fare più attenzione agli impatti diretti e indiretti delle loro azioni. Almeno a parole. La Royal Bank of Scotland (Rbs), ad esempio, nonostante abbia investito ben 11 miliardi nel carbone afferma che “dal 2006 ha prestato più soldi a progetti eolici che a qualunque altro tipo di progetto energetico”, aiutando così il mondo nella transizione verso le rinnovabili.
Sta di fatto che la preoccupazione per i cambiamenti climatici ha portato sempre più persone, negli ultimi anni, a protestare contro la costruzione di nuove centrali. E ad ottenere grandi risultati. Solo in Germania, rivela sempre Bankrolling climate change, non ne sono state costruite 16. E negli Usa, dove con il carbone si genera ancora la metà dell’elettricità, anche il mercato rimette in discussione questa opzione dannosa per l’ambiente. Tanto che la costruzione di ben 151 centrali è già stata bloccata.