Chi plaude al nuovo governo come al ritorno della Buona Borghesia, ha certamente goduto la sera della Prima, alla Scala: Monti e signora, perfettamente omogenei a Napolitano e signora, nel palco d’onore, parevano del tutto a loro agio, attenti al “golfo mistico” quanto alla movimentatissima scena. La coorte dei berlusconiani, più adatti al Bagaglino che alla musica colta, è stata esentata dal presenziare.
Eppure Lui, il deposto Cavaliere B., a me che, come molti, seguivo la diretta televisiva, è mancato. In fondo si cantava del suo Santo Patrono, seppur nobilitato da un libretto lirico/ironico e da una musica eternamente bella, don Giovanni, il protoputtaniere, preclaro esempio di vitalità mal riposta.

Come non vedere nel momento della tentazione di Zerlina tante piccole Minetti allettate con doviziose promesse? E nelle smanie di Donna Elvira una Veronica stanca di tradimenti e incline alla vendetta? Il culmine del gioco d’identificazione s’è avvertito quando il fantasma del Commendatore tuona la sua condanna, proprio dal palco d’onore, fra i due presidenti. E un grande specchio proietta sul palco, addosso al reprobo, il divino terzetto.

Il Cavaliere non muore e non si scompone, si accende una sigaretta e resta lì, sul boccascena, pronto a ricominciare la caccia. È un caso o una minaccia?

Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2011

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