Politica

Le “innocenti” evasioni <br/>di Santa Romana Chiesa

In un immobile basta una cappella per schivare l'imposta. Per Avvenire l'attacco è una vergogna. Bertone: pensiamoci

Il cardinale Bertone e l ’Avvenire si mettano d’accordo. Perché o la questione dell’Ici è da “studiare e approfondire” come dice il Segretario di Stato vaticano oppure è “vergogna” parlarne come urla Avvenire. Gli italiani non sono scemi e da tempo sono convinti – lo dimostrano le inchieste – che il problema è serio. Cattolici o meno, gli italiani nutrono la certezza che in tutta questa faccenda vi sia qualcosa di poco chiaro e che l’istituzione ecclesiastica si rifiuti di pagare il dovuto.

Da due giorni di seguito il giornale dei vescovi si scaglia in prima pagina contro la “campagna di mistificazione dell’Ici non pagata”, accusando chi non sta zitto di volere “tassare la solidarietà”. Afferma l’editoriale dell’Avvenire che gli immobili ecclesiastici dati in affitto pagano l’Ici e che le “attività commerciali svolte da enti e realtà riconducibili alla Chiesa sono tenute a pagare l’Ici sugli immobili che le ospitano, esattamente come ogni attività commerciale”.

È una mezza verità e come tutte le cose non dette fino in fondo ha le gambe corte assai. Perché il punto è che all’indomani della sentenza della Corte di cassazione del 2004 – la quale stabiliva l’esenzione unicamente per gli immobili nei quali si svolgesse effettivamente attività di culto – venne varata una normativa compiacente che prevede l’esenzione anche per gli immobili dalle finalità “non esclusivamente commerciali”. È questa norma da azzeccagarbugli di cui si discute: permette evasioni colossali. Il cardinale Bertone, quando ammette la necessità di “approfondire”, si riferisce probabilmente a questa zona grigia fonte di illegalità, che vale almeno mezzo miliardo di euro di evasione se non quattro volte di più. Sarebbe bene allora che la Cei prendesse rapidamente misure efficaci in proposito. Scrive l’Avvenire: “Un’infinità di volte abbiamo spiegato che se qualcuno cercasse di non pagare il dovuto su attività a fini di lucro riconducibili alla Chiesa, violerebbe la legge e meriterebbe di essere sanzionato”.

I Comuni, aggiunge il giornale dei vescovi, avrebbero i mezzi per farlo. Questa l’abbiamo già sentita con i crimini di pedofilia. Denuncino le vittime o se ne occupi la polizia … La Chiesa non vede e non sente. Invece no. Mettiamo le cose in fila. Le diocesi pubblichino il bilancio integrale di redditi e patrimoni come avviene per legge in altri paesi. Le diocesi controllino che nel loro ambito non si verifichi nessuna illegalità. La Cei comunichi che non intende avvalersi di esenzioni anche per immobili a finalità “non esclusivamente commerciali”. Sottoscrive questa linea di trasparenza l ’ Avvenire? Certo è singolare che il giornale dei vescovi pubblichi per due giorni di seguito lo stesso editoriale di prima pagina contro “politicanti male ispirati e peggio intenzionati”.

Urlare le stesse cose a ripetizione è segno di evidente difficoltà. Rivela che non si trovano risposte a domande molto semplici avanzate dall’opinione pubblica. Sicuramente è strano che la Chiesa italiana rifiuti il modello della legislazione tedesca, dove gli enti che ricevono soldi dallo Stato sono tenuti a pubblicare il loro bilancio patrimoniale. Forse perché l’emersione certificata delle grandi proprietà ecclesiastiche farebbe sorgere la domanda come mai per tante iniziative – a cominciare dalle scuole private – la gerarchia si è abituata a mungere le casse dello Stato? Qui non ci sono oscuri nemici della Chiesa, ma normali cittadini che domandano al cardinale Bertone, per esempio, se sia disposto ad attivare la commissione paritetica prevista dall’articolo 49 della legge istitutiva dell’ 8 per mille per rivederne il gettito alla luce del suo abnorme accrescimento. Basta rispondere con un sì o un no. Senza trasparenza, urlare “vergogna, vergogna” è solo ipocrisia. Le stesse domande operative i cittadini le pongono anche al governo Monti. Il premier sia europeo e tecnocrate sino in fondo. Se invece dovesse adeguarsi al “rito romano” secondo cui certi poteri non si toccano, provocherebbe grande delusione proprio in coloro che con i loro tangibili sacrifici lo sorreggono.

Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2011