La maggior parte di noi non sa nulla dei soldi. Sappiamo che, se facciamo un certo lavoro, ce ne danno un po’; e sappiamo come spenderli, quando ne abbiamo; qualche volta sappiamo come conservarne una parte e come metterla a frutto. Poche persone, al contrario, dei soldi sanno tutto. Ne conoscono le leggi, le potenzialità, l’utilizzo che se ne può fare per guadagnarne altri. Ne conoscono l’essenza. I soldi governano tutto e dunque anche la vita di chi non ci tiene in modo particolare: vivere in un paese ricco e prospero o in uno povero e preda di disordini fa differenza anche per un filosofo, uno scrittore, un artista, insomma una persona che basta a se stesso e che non ha molte esigenze pratiche. Sono i soldi che permettono ai giovani di studiare e di costruire il loro futuro; che assicurano cure mediche a chi non può permettersi di pagarle; che tutelano l’ambiente in cui si vive; che garantiscono la risoluzione dei conflitti e la repressione delle illegalità.

Ne consegue che le persone più adatte a governare un paese sono quelle che sanno tutto dei soldi; non gli ideologi, che promuovono la loro teoria preferita; non i giuristi, che applicano le leggi costruite dagli ideologi o vi si ribellano, trasformandosi quindi in ideologi; non i tecnici di questa o quella disciplina, che possono al più diventare utili strumenti, in specifici settori, di quelli che governano. Le persone più adatte a governare un paese sono gli economisti. Tutto questo, quando le cose vanno bene, lo scordiamo; e diamo spazio a improvvisati amministratori pubblici, a professionisti della politica che valutano le loro scelte in funzione del consenso che gli procurano e dunque della possibilità di essere rieletti; e, qualche volta, a delinquenti che nella politica trovano l’impunità per i reati commessi e che intendono continuare a commettere.

Naturalmente governare per conseguire consenso non è un buon criterio di amministrazione; ed è questo che provoca il conflitto di interessi, la demagogia e il populismo; che a loro volta provocano disuguaglianze sociali, dissennata distribuzione di oneri e risorse, scontento, conflittualità e, alla fine, distruzione di ricchezza. Tutto questo è successo nel nostro paese; e oggi, con soddisfazione della maggior parte dei cittadini e livido risentimento della classe politica, gli economisti e altri tecnocrati di loro fiducia sono chiamati a rimettere insieme i cocci di una nazione distrutta da incapacità professionale (la politica è – deve essere – una scienza) e interessi personali.

È per questo che, quando si ricordano con sospetto i trascorsi professionali di Monti e dei suoi ministri, si commettono due errori. Il primo: ricordare malevolmente le esperienze professionali precedenti. Ma dove si impara il mestiere di economista, di giurista, di medico etc? Ovviamente gestendo soldi, processi, ospedali e via dicendo. Se Monti non avesse lavorato in Goldman Sachs e non fosse diventato un esperto economista, oggi non sarebbe l’uomo che serve per tirarci fuori da dove la classe politica ci ha cacciato. Il secondo: può anche darsi che il luminoso esempio di B. faccia scuola e che il nuovo governo si dedichi con entusiasmo agli affari propri e non a quelli del paese. Ma aspettiamo a strillare che questo succeda davvero; al momento non pare.

Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2011

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