Il contenuto della manovra è in totale di 30 miliardi di Euro: 24 mld per ridurre il deficit e 6 mld per la crescita; 17 mld di maggiori entrate e 13 di minori spese. La manovra si somma a quella di quasi 60 mld di Tremonti. Sostanzialmente il Paese ha sopportato un taglio della domanda aggregata pari a quasi 100 mld di euro, senza che vi sia stato un qualsiasi miglioramento né dei conti pubblici, né della crescita. Appena il mercato si renderà conto che la manovra indebolirà la crescita, ritorneranno le pressioni finanziarie internazionali, ricominciando il balletto dello spread sui titoli pubblici.

Capitolo pensioni. L’obiettivo è far cassa eliminando le pensioni di anzianità. Inoltre, con il passaggio al contributivo per tutti entro il 2018, le pensioni diminuiranno, perché calcolate sui contributi dell’intero arco della vita lavorativa. Ciò colpisce di fatto i lavoratori più anziani. Per i precari è già così: si generalizza a tutti ciò che fino ad oggi valeva per i precari. Infine il non adeguamento all’inflazione delle pensioni equivale ad un taglio dei salari (in particolare per quelli che hanno un salario stabile).

Manovra fiscale. Lungi dall’essere equi, gli interventi del governo acuiscono le distorsioni già presenti nel sistema fiscale italiano, accentuandone il carattere di regressività, a danno delle fasce di reddito più basse e salvaguardando invece quelle più agiate. Invece di introdurre per la prima volta in Italia una tassa patrimoniale (come in molti altri Paesi europei), si preferisce tassare la casa, l’unico bene diffusamente posseduto in Italia (oltre il 70% della popolazione). Inoltre si rincara la dose con l’aumento di 2 punti dell’Iva al 23% a partire dal 1 ottobre 2012 (e oltre nel 2014) e con l’aumento dell’accise sulla benzina.

L’aumento dell’Iva è stato deciso in alternativa a quello dell’Irpef per i redditi più alti. Si tratta di una misura tra le più inique, perché l’Iva (essendo uguale per tutti, come anche l’accise sulla benzina) diminuisce la progressività della tassazione a favore dei ricchi e a danno dei poveri. Inoltre verrà scaricata sui prezzi e, in presenza di salari bloccati, ne consegue una sicura perdita di un potere d’acquisto già fortemente compromesso dalla precarietà e dalla concertazione sindacale. Tali misure vengono giustificate in sede governativa adducendo fantomatici interventi compensatori sui ricchi: un bollo sui titoli finanziari, pari allo 0,1% per il 2012, dello 0,15% per il 2013 e comunque non superiore ai 1.200 euro l’anno; una tassa sulle macchine di lusso e sugli yacht sopra i 10 metri (povero D’Alema!); e infine l’applicazione dell’aliquota massima al 43% per i Tfr superiori al milione di Euro (!). Sono provvedimenti del tutto marginali, uno specchietto per allodole. Ben più rilevante sarà infatti la possibilità da parte delle Regioni di aumentare l’addizionale Irpef.

Capitolo crescita. Questo capitolo si è tradotto in interventi di tipo assistenziale a favore delle sole imprese. Si è deciso il rafforzamento del fondo di garanzia per le imprese, con un credito di oltre 20 mld e agevolazioni fiscali per gli utili reinvestiti a favore della capitalizzazione d’impresa (a tutto vantaggio dei mercati finanziari). Inoltre nell’ottica tipica del capitalismo italiano Stato-assistito, sono stati sbloccati ben 3,8 mld di euro per le opere infrastrutturali strategiche (in particolar modo Alta Velocità). Sul versante lavoro, la manovra prevede solo ulteriori agevolazioni a chi assume giovani e donne. E’ stata infatti introdotta una riduzione dell’Irap, ma solo a vantaggio delle imprese. Un intervento sul cuneo fiscale avrebbe potuto anche dar luogo ad un incremento salariale con effetto positivo sui consumi e sulla domanda finale. Intervenire a vantaggio della profittabilità delle imprese, dando per scontato che le agevolazioni fiscali si traducano in investimenti e assunzioni (stabili!!) in un contesto di crisi come quello attuale, non ha molto senso. Non occorre essere professori di economia per capire che solo aspettative positive sulla domanda possono stimolare gli investimenti e quindi la produzione e l’occupazione. E’ facile attendersi che la crescita sarà molto ridotta, anzi nulla, anche alla luce delle scelte fiscali fortemente regressive che abbiamo presentato.

Sull’efficacia della manovra. Il principale effetto del contenimento della spesa pubblica aggregata europea è un ridimensionamento delle aspettative di crescita per il 2012, prefigurando una nuova fase recessiva. Sono in molti a considerare plausibile un segno meno nella crescita del Pil europeo per il 2012, mentre per l’Italia si avvertono segnali ancor più preoccupanti. Se con la manovra Tremonti la crescita economica per il 2012 era stata rivista al ribasso dello 0,5%, con la nuova manovra le previsioni viaggiano verso un meno 1,5-2%.

Le manovre di quest’anno diminuiscono il deficit ma anche il Pil. Il risultato non cambia e l’obiettivo di ridurre il rapporto debito-Pil diventa una rincorsa senza fine. Il caso della Grecia è emblematico. Dopo 4 finanziarie draconiane le previsioni sul Pil greco per il 2011 sono disastrose (-5,3%), e il rapporto deficit-Pil lungi dal ridursi probabilmente aumenterà.
L’Italia vive la stessa situazione. Tanto è vero che, in presenza di una minore crescita per il 2012, con la necessità di rifinanziare almeno 400 mld di debito pubblico e 150 mld di obbligazioni, servirà un’ulteriore manovra da 20 mld di euro entro i primi 4 mesi del 2012.

Una spirale senza fine, dunque, che ad inizio 2013 comincerà ad attaccare il mercato del lavoro con la scusa di aumentare la competitività e perorando la totale precarizzazione del lavoro, liberalizzando i licenziamenti individuali. Senza rendersi conto, che è proprio l’eccesso di precarietà del lavoro e l’intermittenza di reddito che ne consegue a rappresentare il principale ostacolo alla crescita economica italiana.

Chi di precarietà ferisce, prima o poi di precarietà perisce… E’ ora di prenderne atto.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

L’unione fiscale? Profuma di crauti

next
Articolo Successivo

Euro: meglio fuori o dentro?

next