Quando nel Don Giovanni che ha inaugurato la stagione della Scala nell’anno più buio della crisi, il grande specchio ha riflesso il Commendatore che dal parco reale invitava il protagonista alla cena mortale, accanto a lui spiccavano molto compunti Mario Monti e Giorgio Napolitano.
Probabilmente quando il regista ha concepito la scena, alla sinistra del Commendatore avrebbe dovuto comparire la maschera logora e screditata dell’allora presidente del Consiglio, che dopo aver negato la crisi contro ogni evidenza continua a spargere “ottimismo”. L’ultima sparata viene da Marsiglia dove a margine del Congresso dei Popolari Europei ha garantito che non c’è nulla da temere perché “lo Stato è indebitato, ma i cittadini sono benestanti“.
Il suo successore, la cui immagine in mondovisione per il Don Giovanni non suscita almeno facili ilarità, potrebbe prendere in parola le dichiarazioni in libertà di quello che dovrebbe essere il principale garante della sua maggioranza e rivedere la manovra partendo dai “benestanti”.
Purtroppo tutto l’impianto del decreto sembra infatti prescindere dai due principi basilari tracciati in modo chiarissimo e sintetico dalla nostra Costituzione all’art. 53: “Tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è improntato a criteri di progressività”.
L’equità giustamente richiamata, ma spesso invocata genericamente in modo da accontentare tutti, sta tutta in queste due righe e significa semplicemente che l’imposizione deve aumentare in modo più che proporzionale all’aumentare del reddito. Il fondamento di questo criterio, di facile intuizione, è di natura economica e si basa sul principio dell’utilità marginale decrescente: l’utilità di un bene, nella fattispecie il denaro, diminuisce all’aumentare delle dosi dello stesso.
Al contrario, nella manovra di Monti non solo non c’è un’imposta patrimoniale nè l’ innalzamento dell’aliquota dello scaglione Irpef più alto, ma nemmeno la nuova Ici è progressiva, anzi finisce per andare nella direzione opposta e cioè per prevedere costi maggiori per chi ha redditi più bassi, con un iniquo effetto regressivo. Se a questo si aggiunge lo pseudo prelievo, per di più in due tranche, a distanza di un anno, sui capitali rientrati con lo scudo fiscale e le frequenze gratuite sulla piattaforma del digitale per fare l’ennesimo favore a Berlusconi che ha peraltro paventato che comunque “le aste sarebbero andate deserte“, il quadro delle iniquità sul fronte delle entrate è abbastanza dettagliato.
Ma purtroppo manca ancora il pacco-dono natalizio per le gerarchie vaticane che vedono i propri ingenti beni privilegiati sotto ogni profilo: esenzione dall’Ici e mancata rivalutazione catastale.
Un intervento che, se si concretizzerà come annunciato, presenta un vero vulnus rispetto ai principi fondamentali della Costituzione e non solo riguardo all’art. 53.