Aveva 65 anni, negli ultimi tre ha lottato contro il male che l’ha portata via, ma il suo nome è noto per un’altra battaglia: quella di fine anni ’80 per la liberazione del figlio, Cesare, rapito dall’anonima sequestri calabrese. Angela Casella è morta ieri sera nella sua casa vicino Pavia. Ventidue anni fa diventò per tutti “Madre Coraggio“: il suo ragazzo era ostaggio dei rapitori da un anno e mezzo, lei scese nei paesi della Locride e si incatenò in piazza per chiederne la liberazione e la solidarietà delle donne di Calabria. Una storia che l’Italia non ha dimenticato.
Era la sera del 18 maggio 1988 quando Cesare Casella, all’epoca diciottenne, venne catturato dall’anonima davanti alla concessionaria Citroen del padre Luigi a Pavia. Dopo 743 giorni di nulla, il ragazzo venne liberato a Natile di Careri, in provincia di Reggio Calabria. Nel mezzo, le tappe di una prigionia organizzata sin nei minimi dettagli. Per una decina di giorni, Cesare fu tenuto nascosto in un garage non lontano da Pavia. Poi venne trasferito in Aspromonte, dove fu tenuto segregato in tre diversi nascondigli. Dopo un’iniziale richiesta di riscatto di otto miliardi di lire, i rapitori scesero a un miliardo: fu la somma che il padre Luigi pagò alla vigilia di Ferragosto del 1988. Ma l’anonima rilanciò e chiese altri cinque miliardi. I contatti tra la famiglia ed i sequestratori si fecero meno frequenti anche per l’intervento della magistratura che dispose il blocco dei conti correnti.
Tutto questo, però, non fermò l’ostinazione di Angela Casella, che nell’estate del 1989 scese da sola in Calabria. Si incatenò nelle piazze, dormì in una tenda, chiese ed ottenne la solidarietà delle donne calabresi. “Lo Stato in catene a Locri” titolarono i giornali e la foto di Madre Coraggio incatenata finì anche sul Time e su numerosi giornali stranieri. Il sequestro Casella, del resto, diventò un caso spinoso anche per il governo guidato da Giulio Andreotti. Lo Stato si mobilitò, stringendo il cerchio attorno all’anonima sequestri sino alla liberazione di Cesare Casella, la sera del 30 gennaio 1990, un mese dopo la cattura di Giuseppe Strangio, ferito ad una gamba dai Gis (Gruppi di intervento speciale dei carabinieri) dopo che si era presentato ad un appuntamento per riscuotere altri soldi per la liberazione del giovane di Pavia.
Oggi, a distanza di oltre 20 anni, Cesare Casella si è costruito una vita normale, lontano dai riflettori. Come sua madre, che – dopo una breve esperienza in politica tra le file della Dc – per un periodo continuò ad organizzare iniziative umanitarie prima di ritornare lontano dai riflettori. Qui è rimasta fino a ieri sera, quando un male incurabile ha deciso di portarla via.
”Aveva una grande forza”: parola di monsignor Antonio Ciliberti, vescovo di Locri a fine anni ’80, il quale conserva un ricordo molto vivo di Angela Casella, che incontrò varie volte nel periodo della protesta calabrese. “Mi espresse la sua disperazione e la situazione di forte apprensione che lei ed il marito vivevano per la sorte di Cesare – ha ricordato il prelato – Aveva grande forza e grande coraggio. Era una donna semplice, ma allo stesso tempo capace di grandi gesti. Diventò un fenomeno mediatico, ma in realtà non era interessata più di tanto alla stampa ed ai giornalisti. Voleva soltanto ottenere la liberazione del figlio ed era determinata a fare qualsiasi cosa pur di raggiungere il suo scopo”.
Angela Casella come pioniere dell’impegno della comunità civile contro la ‘ndrangheta? Monsignor Ciliberti non ha dubbi: “Certamente sì. Ma io non interpretai l’iniziativa di Angela Casella di venire in Calabria come una sfida alla ‘ndrangheta, ma soltanto come un grande gesto d’amore nei confronti del figlio. In realtà è stata un esempio per tutti e per le donne della Locride in particolare. Ma anche per la Chiesa e la comunità civile e politica calabrese – ha detto l’ex vescovo di Locri – Ricordo che organizzammo per lei una veglia di preghiera per chiedere la liberazione di Cesare, alla quale intervennero rappresentanti delle istituzioni e della politica ed in quell’occasione io mi rivolsi proprio a loro sollecitandoli a rifiutare i voti della ‘ndrangheta. In caso contrario, aggiunsi, diventerete zimbelli dei mafiosi. Come Chiesa ci impegnammo al massimo per sostenere le iniziative di Angela Casella”.