Dalla Siberia a Mosca, i russi scendono in piazza per contestare i risultati delle elezioni politiche dello scorso 4 dicembre, che lanciano Vladimir Putin verso la vittoria alle presidenziali di marzo. L’opposizione ha organizzato manifestazioni in 46 città per protestare contro i brogli nelle elezioni per la Duma: i dati definitivi del voto assegnano infatti il 49,32 per cento delle preferenze a Russia Unita, il partito di Putin e Medvedev, che potrà pertanto contare su 238 seggi sui 450 disponibili. Oggi la Commissione elettorale centrale ha ufficializzato la vittoria del partito di governo, che resta quindi il primo partito russo, ma rispetto al 2007 ha perso oltre il 15 per cento dei consensi. Le prime manifestazioni sono inziate nelle città siberiane, per la differenza di fuso orario, sfidando le temperature polari. Poi è stata la volta della capitale: gli organizzatori hanno annunciato che i partecipanti sono tra i 100 e i 150mila. Un risultato quindi al di sopra di ogni aspettativa, ben superiore ai 30mila autorizzati dal Comune. Secondo fonti non ufficiali di polizia, i manifestanti sarebbero 70mila.

In parallelo alle proteste, sono iniziati anche i primi fermi: una trentina di persone a Khabarovs e una decina a Perm negli Urali, mentre a San Pietroburgo, membri dell’unità antisommossa (Omon) sono intervenuti per disperdere una manifestazione per la quale non era stata concessa alcuna autorizzazione. Sono stati denunciati pestaggi. Tra gli slogan dei manifestanti, “Il pesce puzza dalla testa”, “Prigione per i falsificatori”, “Elezioni libere” e “Libertà per le persone arrestate a Mosca”. Già a ridosso delle votazioni, le piazze si erano riempite, complice il passaparola sul web, per protestare contro il partito di Putin: il numero degli arresti compiuti a Mosca e in altre città del paese era arrivato a superare quota 800, di cui, secondo i dati ufficiali, 569 a Mosca e 250 a San Pietroburgo. Molti dei fermati sono ancora in custodia. “Dobbiamo continuare a fare appello alla gente – aveva detto in un’intervista poco prima di essere fermato dalla polizia il blogger Alexei Navalni,  condannato a 15 giorni di prigione – i brogli sono stati maldestri e stupidi e le grandi città sono le più insoddisfatte. Se il potere non fa qualcosa – concludeva – la situazione diventa rischiosa”.

”Nuove elezioni”, ha chiesto dal palco di Piazza Bolotnaia il popolare scrittore Boris Akunin, facendosi interprete di quello che è il principale obiettivo della protesta di oggi nel cuore di Mosca, a 200 metri dal Cremlino. I nazionalisti hanno iniziato a bruciare alcune bandiere di Russia Unita. Moltissime le persone con rose o tulipani e nastrini bianchi, il colore di questa nuova rivolta che sta scuotendo la Russia, tanto che qualcuno, sotto i fiocchi di neve, l’ha già ribattezzata la “Rivoluzione bianca”. Sul palco si sono alternati politici e star dello spettacolo mentre la folla gridava slogan come “Ladri e corrotti” (come viene comunemente chiamato adesso il partito di Putin), “Elezioni pulite” e “Uno per tutti, tutti per uno”. In piazza c’è anche il leader del partito riformatore filo-occidentale Grigori Iavlinski, che finora aveva disertato tutte le proteste non condividendo le manifestazioni in strada.

Il numero due del partito di centrosinistra, Ghennadi Gudkov, ha chiesto di annullare il voto legislativo del 4 dicembre e di indirne uno nuovo, acclamato dal pubblico. In una risoluzione letta dal palco e approvata a “furor di popolo” la folla ha chiesto cinque punti: il rilascio di tutti i prigionieri politici, la dichiarazione che i risultati delle elezioni parlamentari non sono da considerarsi validi, le dimissioni dell’attuale presidente della commissione elettorale Vladimir Churov, un’inchiesta su tutte le denunce di brogli con l’assunzione di provvedimenti punitivi per i responsabili e, infine, la possibilità che tutti i partiti dell’opposizione possano partecipare a nuove elezioni, veramente democratiche.

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