Dietro al concorso della discordia non ci sarà il trucco denunciato da alcuni candidati ma sicuramente c’è il privilegio. Quello di insegnare l’italiano all’estero con uno stipendio d’oro, anzi uno stipendio doppio. Ecco cosa ha spinto 37mila candidati con già un lavoro sicuro alle spalle a tentare la fortuna a fronte di un centinaio di posti da docente di ruolo presso gli istituti scolastici stranieri. A organizzarlo è stato Formez per il ministero degli Affari Esteri. Il concorso, rivolto a personale docente in italiano e in lingue già assunto con contratto a tempo indeterminato, è iniziato e finito all’italiana: la prima giornata di prove di accertamento linguistico è partita alle 8 del mattino e si è conclusa a tarda sera tra le polemiche, con alcuni candidati che hanno lamentato irregolarità e si sono visti appioppare una denuncia per interruzione di pubblico servizio, mentre i carabinieri hanno dovuto vigilare sulle altre prove e a gran voce ancora oggi si chiede l’annullamento del concorso (guarda il video delle proteste).

Le aspettative erano altissime, tanto che alcuni candidati sono arrivati perfino dall’Australia. Del resto di concorsi simili se ne vede uno ogni 5 anni e soprattutto quello che si vince non è un posto di lavoro ma due posti in uno. Perché ai docenti che si sono decisi ad “emigrare” vengono versati due stipendi proprio come accade a consoli, funzionari, ambasciatori e a tutta la casta diplomatica d’Italia. Il primo viene è erogato dal ministero della Pubblica Istruzione ed è lo stipendio comune a tutti gli insegnati che in gergo tecnico assume la dicitura di stipendio “metropolitano”. Viene versato regolarmente come se il titolare della posizione fosse a Roma mentre è a Parigi, New York o Londra. Il secondo stipendio viene pagato invece dal ministero degli Esteri (MAE) sotto forma di indennità di sede. Mediamente si aggira attorno ai 4.750 euro ma può salire per effetto delle maggiorazioni legate alla presenza di un coniuge con un 20 per cento in più e del 5 per cento per ogni figlio. Alla fine del mese quindi l’insegnate che in Italia non arriverebbe a prendere 1.400 euro può arrivare all’astronomica cifra di 6mila euro, soprattutto se si opta per una delle sedi definite “disagiate”, non perché decadenti ma perché lontane o in contesti resi complessi da fattori geopolitici o economici (sono 132 e vanno dall’Afghanistan allo Zimbawe). Di insegnanti con passaporto e doppio stipendio il ministero ne ha in giro per il mondo 490 e per loro spende la cifra incredibile di 30 milioni di euro, circa 60mila euro l’anno ciascuno che è paragonabile alla retribuzione d’incarico di un ordinario di italianistica e letteratura comparata presso un ateneo italiano. Più della metà dei fondi, circa 18,5 milioni di euro, lo Stato li spende per sostenere l’indennizzo del personale docente di ruolo mandato all’estero. Un trattamento degno di ordinari di italianistica e letteratura comparata.

La condizione di “missionari” comporta ulteriori agevolazioni che farebbero luccicare gli occhi agli insegnanti precari e non della scuola italiana. Questi loro colleghi hanno più ferie di quelle assegnate ad un console perché possono usufruire di 48 giorni più 4 di festività soppresse contro i 36 di un insegnante in Italia. Allo scoccare dell’anno e mezzo di missione, poi, è previsto un viaggio di congedo con la famiglia in aereo. Viaggio con biglietto di andata e ritorno pagato dallo Stato. Arrivato a destinazione il professore è aiutato con “un’indennità destinazione” che corrisponde ad un’intera mensilità da utilizzare, per esempio, per l’affitto di una casa. Le agevolazioni valgono solo per gli insegnanti diretti alle scuole statali. Sono applicate ai dirigenti scolastici, ai cosiddetti lettori, cioè i 261 docenti universitari che tengono corsi di lingua italiana. Se poi aggiungiamo i supplenti e il personale a contratto si arriva a 1.500 unità che risucchiano i due terzi dei fondi del ministero degli Affari Esteri.

Ad aspettare i docenti d’oro sono un circuito di scuole (e di regole) vecchio di quasi quarant’anni, retaggio di quando la pressione dell’emigrazione italiana nel mondo era fortissima e veniva giustamente supportata con ingenti risorse pubbliche. Oggi quella pressione è vistosamente crollata, il fenomeno dell’emigrazione si limita alla fuga dei cervelli già formati, ma la rete diplomatico-culturale è rimasta pressoché la stessa di allora: le scuole italiane nel mondo sono 182 di cui 22 statali, 133 paritarie e 27 non paritarie. Ma le rete conta anche 111 scuole europee, internazionali e stranieri con sezioni italiane. Poi ci sono 261 lettorati universitari. In tutto 554 istituzioni scolastiche italiane all’estero. Una rete enorme a fronte di 30.787 alunni di cui 8 su 10 ormai stranieri. Con alcuni salti nella logica di distribuzione della spesa. In Asia e Oceania, ad esempio, nell’anno scolastico 2009/2010 si sono contati 97 alunni italiani e 22 stranieri. In tutto 119 alunni d’italiano. Per offrire loro i corsi di lingua e cultura nazionale dall’altra parte del mondo vengono spesi 1,6 milioni di euro, cioè più di mille euro al mese per ciascuno studente. Una cifra che farebbe gola anche a tanti professori precari della scuola in patria. I risultati del concorso saranno pubblici il 15 dicembre.

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