Al primo sguardo, l’accordo raggiunto dopo la maratona durata 13 giorni della Conferenza internazionale sul Clima di Durban, in Sud Africa, potrebbe sembrare un successo. Un nuovo trattato globale per la riduzione delle emissioni di Co2 (e dei gas responsabili dell’innalzamento della temperatura terrestre) che includerà tutti i maggiori inquinatori del mondo a partire dal 2020, l’ok al protocollo Kyoto 2 dal 2013 ad almeno il 2017, e l’istituzione di un Fondo verde per aiutare i Paesi più poveri a contrastare il cambiamento climatico. Ma, come si dice, il diavolo si nasconde nei dettagli.

Prima di tutto il nuovo trattato globale. Il rimandare l’inizio dei negoziati al 2015 e la sua entrata in vigore addirittura al 2020 non fanno davvero ben sperare e non solo perché in nove anni di cose ne possono succedere molte. “Rimandare le azioni mirate a combattere il climate change al 2020 è chiaramente insufficiente alla luce degli allarmi degli scienziati sull’esigenza di agire tempestivamente”, ha detto Bas Eichkout, Eurodeputato dei Verdi in rappresentanza della delegazione del Parlamento europeo a Durban.

Ma proseguiamo. Il cosiddetto protocollo di Kyoto 2, che entrerà in vigore dal 2013 e vuole fare da “ponte” in vista dell’accordo globale del 2020, vede esclusivamente l’adesione dell’Ue e di una manciata di Paesi industrializzati. Rimangono fuori, tanto per cambiare, i maggiori inquinanti mondiali (Stati Uniti, Cina e India) con l’aggiunta di Giappone, Russia e Canada. Quest’ultimo, nel particolare, ha deciso anche di uscire con un anno d’anticipo dal primo Kyoto, come annunciato dal ministro dell’Ambiente Peter Kent non appena messo il piede a terra di ritorno da Durban. Come risultato, l’intero Nord America e i due colossi industriali d’Oriente non avranno alcuna limitazione alle emissioni di anidride carbonica fino al 2020. Un duro colpo da digerire, visto che Stati Uniti, India e Cina da soli sono responsabili del 46 per cento delle emissioni annue di gas ad effetto serra.

E i soldi per il Fondo verde per il clima dove si trovano? Mistero. L’accordo raggiunto prevede almeno 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 a favore delle nazioni più povere, ma sul “dove” questi fondi saranno reperiti non c’è nemmeno una parola. Un particolare non da poco, specie in tempi di crisi economica e di cinture strette anche nei Paesi del G8, verosimilmente restii ad aprire il portafogli per aiutare qualche sperduta isoletta in mezzo al Pacifico.

Spietato il commento di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia di WWF Italia: “I Governi hanno fatto il minimo indispensabile per portare avanti i negoziati, ma il loro compito è proteggere la loro gente. E in questo a Durban hanno fallito”. La Midulla ricorda che “la scienza ci dice che dobbiamo agire subito perché gli eventi meteorologici estremi peggioreranno. Ma oggi è chiaro che i mandati di pochi leader politici hanno avuto un peso maggiore delle preoccupazioni di milioni di persone, mettendo a rischio le persone e il mondo naturale da cui le nostre vite dipendono”. Senza dimenticare, ricorda la collega di WWF UK, Keith Allott, che “l’accordo ci lascia con il rischio di essere legalmente vincolati al limite di 4 C di surriscaldamento globale (anziché i 2 C consigliati dagli esperti, ndr)”, cosa che, secondo la Allott, sarebbe “catastrofico per la popolazione mondiale e per l’intero pianeta”.

E l’Unione europea? Irreprensibile il suo ruolo in difesa del clima, ma purtroppo si è trovata sola contro tutti. La commissaria Ue al cambiamento climatico, la danese Connie Hedegaard, ha dovuto addirittura convincere, in un serrato faccia a faccia, la ministra all’Ambiente indiana Jayanthi Natarajan ad aderire al trattato globale del 2020, visto che l’India non voleva firmare nemmeno questo. Come risultato, l’Ue si troverà da sola impegnata nel protocollo di Kyoto 2 fino al 2017 e da sola ad evitare che gli altri partner mondiali si rimangino la parola da qui al 2020. Insomma l’Ue a Durban ha fatto il meglio che poteva, e questo nonostante l’ingombrante presenza della Presidenza di turno polacca, secondo i Verdi europei, “impegnata solo a difendere gli interessi del proprio orticello nazionale in termini di emissioni permesse da includere in Kyoto 2”.

“I governi che hanno lasciato la conferenza Onu dovrebbero vergognarsi”, è il duro commento di Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International. “Ci chiediamo come riusciranno al ritorno a guardare negli occhi i loro figli e nipoti. Il loro fallimento inciderà nella vita dei più poveri, vulnerabili e meno responsabili per del cambiamento climatico nel mondo”.

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