La timidezza verso gli evasori è il peccato (speriamo provvisorio) del professor Monti. Affida alla burocrazia la caccia agli infedeli. E quei mille euro rintracciabili! Chissà le risate di mafie e miliardari russi con biglietti da 500 accartocciati nell’elastico. Per non parlare dell’1, 5 per cento che “punisce” chi nasconde i milioni all’estero. Briciole e brindisi di sollievo. Visco aveva fatto di più nell’ora dell’addio: distribuire nella rete i nomi di chi pagava e chi no, suscitando la rivolta rabbiosa degli onorevoli ai quali si affidano i ladri. Berlusconi indignato: “Inciviltà intollerabile”.
Ormai il tempo è scaduto: intollerabili diventano gli scudi che proteggono chi nasconde il maltolto. Un esercito di italiani ruba 120 miliardi a chi paga le tasse. Rubano l’assistenza ai malati, la sopravvivenza degli anziani, l’istruzione che dovrebbe formare l’Italia di domani. Ladri nell’ombra con la complicità di una privacy che fa ridere in tempo di guerra. Perché siamo in guerra: contro l’emarginazione culturale, contro la corruzione da quarto mondo, contro la non speranza dei ragazzi fuori dal lavoro, contro la tragedia della piccola borghesia derubata di ogni dignità. Dopo l’11 settembre delle due Torri, Bush annuncia “provvedimenti patriottici” e sospende la tutela della privatezza consueta agli anni di pace: interventi indiscreti che sfogliano ogni passaggio della quotidianità. Nessuno protesta e chi decide per tutti rivolta la vita di tutti.
In Italia non serve un referendum (sarebbe votatissimo) per tornare alle abitudini anni’80: permettevano la trasparenza di una convivenza leale. Nel suo ultimo libro (“Alla mia sinistra”) Federico Rampini attribuisce al contribuente americano l’orgoglio della cittadinanza, quindi vigilanza senza debolezze verso i contribuenti sleali. Virtù bruciata dalla nostra generazione di politici infedeli. Ormai tocchiamo il fondo, ecco l’urgenza del ritrovare il tempo perduto. Don Milani, prete così lontano dalla diplomazia di qualche cardinale, anticipava il giudizio sulle lacrime e sangue del Monti dei nostri giorni: “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali”. E per sapere chi sono i “disuguali” e per restituire agli italiani dalla morale impigrita la cittadinanza perduta, la tracciabilità e il redditometro non bastano nelle furbizie fiscali della globalizzazione.
Se si certifica il reddito con lealtà, perché non far sapere come stanno le cose a chi vive nello stesso condominio? Quando una sentenza coinvolge una certa parte della società, il tribunale ne ordina la pubblicazione sui giornali: tutti devono esserne informati per ritrovare fiducia. Torniamo alle abitudini dell’Italietta che intiepidiva il dopoguerra nel benessere. Per 30 anni l’elenco dei redditi si è pubblicato su ogni giornale, nome per nome, città per città: le pagine più lette d’Italia. Dietro le porte di casa si facevano conti e confronti. Com’era possibile che il vicino di pianerottolo avesse la villa in montagna e tre stanze al mare, auto di lusso, weekend chissà dove se denunciava 5 milioni in meno del capofamiglia con mutuo da pagare e utilitaria alle corde? E il vicino super proprietario si rabbuiava pensando alla perfidia dei maledetti curiosi. Ed erano anni diversi, non stavamo precipitando. La mappa degli infedeli potrebbe rivelare un’altra Italia suggerendo curiosità ormai doverose. Serve il consenso “patriottico” del governo per rendere pubblici peccati e virtù come qualche anno fa? L’eleganza dei nuovi ministri sembra dubitare. Se il testimone di una rapina chiama la polizia è cittadino benemerito, come mai quando si ruba sulle tasse diventa perfido delatore?
Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2011