L’efficienza con cui si usa l’energia in Italia è molto bassa. Il nostro sistema energetico è come un secchio bucato che nei processi di trasformazione dalle fonti fossili agli usi finali e negli usi finali (calore, freddo, forza, illuminazione) spreca sotto forma di calore degradato più energia di quella che utilizza.
I consumi delle fonti fossili si suddividono in tre categorie più o meno equivalenti: il riscaldamento degli ambienti; la produzione di energia termoelettrica, l’autotrasporto. Nel riscaldamento degli ambienti la legge tedesca non consente di superare i 70 kWh al metro quadrato all’anno. Le case passive (l’unico settore trainante nell’edilizia tedesca) non possono superare i 15 kWh/m2/a. In Italia, con un clima molto più mite, si calcola (ma nessuno sa fornire dati precisi) che si raggiungano i 150-200 kWh/m2/anno. Il rendimento medio attuale del parco centrali termoelettriche è del 38 per cento. I cicli combinati raggiungono il 55 per cento. La cogenerazione diffusa, oggi assolutamente sottoutilizzata, il 94 per cento.
Nel settore automobilistico, dopo il dimezzamento dei consumi avvenuto negli anni Settanta, non ci sono stati ulteriori miglioramenti, ma Greenpeace negli anni Novanta ha fatto costruire un’autovettura che supera i 40 km con un litro di benzina e le case automobilistiche hanno già realizzato prototipi di medie cilindrate che con un litro di benzina raggiungono i 100-120 km. Se alle inefficienze tecnologiche delle automobili si sommano le inefficienze comportamentali derivanti dal fatto che mediamente su un automobile che può portare quattro persone, in genere ne viaggia una, si può dedurre che lo spreco energetico del settore è ancora più rilevante.
Allo stato attuale della tecnologia è quindi possibile ridurre del 70 per cento i consumi di fonti fossili accrescendo l’efficienza dei processi di trasformazione energetica e utilizzando quei veri e propri giacimenti nascosti di energia costituiti dagli sprechi, dalle inefficienze e dagli usi impropri. Accrescendo l’efficienza, si riducono i consumi di energia alla fonte a parità di servizi finali. Pertanto si riducono contemporaneamente le emissioni di CO2 e i costi della bolletta energetica. I risparmi sui costi di gestione consentono di ripagare in tempi accettati dal mercato (e sempre più brevi quanto più aumenta di costo delle fonti fossili) i costi d’investimento. I vantaggi ecologici sono direttamente proporzionali a quelli economici.
Sulla base dei dati, il paragone del nostro sistema energetico con un secchio bucato è più che calzante. Ebbene, quale persona normodotata che si trovi ad avere un secchio bucato da riempire d’acqua si pone come primo problema da risolvere la scelta della fonte con cui riempirlo? Chiunque in prima istanza deciderebbe di verificare se il secchio è riparabile e, se lo è, di chiudere i buchi; se non lo è di comprarne uno nuovo. Solo in seconda istanza si porrebbe il problema della fonte, sapendo che a quel punto occorrerà poca acqua a riempirlo perché non ci sono più perdite.
Questo banale buon senso non ha nemmeno lontanamente sfiorato l’impostazione della politica energetica in Italia, dove il dibattito si è prevalentemente svolto tra i paladini delle fonti rinnovabili e i paladini del nucleare. Cioè tra gli opposti sostenitori di due fonti con cui tentare di soddisfare un fabbisogno energetico composto per i due terzi da sprechi, inefficienze e usi impropri. Questa mancanza di logica è più grave da parte dei sostenitori delle fonti rinnovabili, perché le rinnovabili hanno rendimenti irregolari e ancora inferiori a quelli delle fonti fossili, per cui la riduzione del fabbisogno energetico attraverso una razionalizzazione del sistema è il pre-requisito per il loro sviluppo.
Solo se i consumi energetici si riducono in misura significativa, come è possibile tecnologicamente e conveniente economicamente, le fonti rinnovabili possono soddisfarne una quota sempre maggiore, altrimenti il loro contributo rimane marginale e non si uscirà mai dalla necessità di sostenerle con sussidi statali.
Ma ragionare in termini di riduzione dei consumi significa sovvertire il dogma della crescita economica. Significa sviluppare tecnologie che, una volta applicate, comportano una riduzione del prodotto interno lordo anno dopo anno.
Dal libro Scorie radioattive. Chi sa trema, ma in silenzio (Aliberti editore)