Dopo la Conferenza di Durban, dal continente americano arrivano atteggiamenti opposti nella lotta al cambiamento climatico. Se Ottawa decide di sfilarsi dall'accordo internazionale salva-clima, da Santiago parte una campagna per ridurre i consumi energetici del Paese
Peter Kent, ministro dell’Ambiente canadese, ha annunciato a Toronto che l’accordo internazionale che obbliga gli stati a limitare il rilascio in atmosfera di quei gas responsabili del surriscaldamaneto terrestre è il passato: “Useremo il nostro diritto legale di ritirarci dal Protocollo, perché non coinvolge Stati Uniti e Cina, i più grandi responsabili di emissioni inquinanti, e dunque non può funzionare”. Dietro l’accusa ai due giganti dell’inquinamento, in realtà c’è anche il fallimento del governo canadese, che entro il 2012 avrebbe dovuto ridurre del 6 per cento le sue emissioni rispetto ai livelli del 1990, ma ha mancato il bersaglio. I dati al 2009 dicono che le emissioni canadesi sono del 17 per cento superiori ai livelli limite del 1990. Secondo Kent, rispettare gli obiettivi della carta salva-clima, per quanto ormai superata, costerebbe all’economia canadese 13,6 miliardi di dollari. Una cifra che il governo non è disposto a rischiare senza un nuovo accordo vincolante e soprattutto globale, ovvero con dentro anche Usa, Cina e India. I conservatori, al governo dal 2006, hanno però sempre contestato il Protocollo di Kyoto e l’insoddisfacente conclusione di Durban ha dato loro l’occasione per uscire dal Trattato. Una scelta che comunque è stata criticata dall’opposizione liberale e dalle organizzazioni ambientaliste canadesi.
Completamente diversa, invece, la campagna lanciata dal governo cileno. L’estate australe è appena iniziata e le temperature nel paese sudamericano si annunciano oltre la media. Così Rodrigo Alvarez, titolare delle Politiche ambientali nel governo di centro-destra guidato da Sebastian Pinera, ha lanciato una campagna per incoraggiare i cileni a ridurre l’uso dell’aria condizionata negli uffici e nelle case (per chi se la può permettere, ovviamente). E il risparmio inizia dalle abitudini estetiche: come già in Giappone e in Spagna, Alvarez ha invitato gli uomini cileni a rinunciare alla cravatta e lasciare la temperatura degli uffici più alta. Secondo i dati del ministero dell’Ambiente di Santiago, infatti, tenere i condizionatori più alti da uno a tre gradi ridurrebbe la bolletta energetica del paese di 10 milioni di dollari. D’estate, peraltro, il sistema energetico cileno è sempre sotto pressione. La gran parte dell’energia elettrica è di origine idrica (non senza polemiche per l’impatto ambientale di alcuni progetti) e la produzione diminuisce nei mesi più caldi per l’abbassamento del livello dei fiumi, proprio quando l’uso massiccio di condizionatori fa aumentare il consumo.
La campagna cilena non è un caso isolato. Dall’altra parte del mondo, in Corea del Sud, dov’è inverno, il presidente Lee Myung-bak ha annunciato in una intervista radiofonica la decisione di ridurre l’uso del riscaldamento nel suo ufficio, compensando con abiti più pesanti anche se meno formali. Il presidente sudcoreano ha incoraggiato i suoi connazionali a fare altrettanto, per ridurre le emissioni inquinanti e risparmiare sul consumo energetico. Un invito rivolto non solo ai privati cittadini ma anche alle aziende e alle istituzioni pubbliche, chiamate a dare il buon esempio nel cambiamento delle abitudini che fa bene all’ambiente, oltre che alle tasche dei cittadini impoveriti dalla crisi.
di Joseph Zarlingo