Quasi un anno dopo la Rivoluzione dei Gelsomini la Tunisia entra nel vivo dell’era post Ben Alì. Ieri con l’insediamento del nuovo presidente Moncef Marzouki e oggi con l’incarico di formare il governo assegnato al numero due del partito islamico Ennahda, Hamadi al-Jabali.
La decisione del neo presidente della Repubblica, eletto lunedì dall’Assemblea costituente uscita dalle elezioni di ottobre, è stata confermata da una nota ufficiale. Tutto secondo copione, tenuto conto della netta vittoria di Ennahda alle urne dove ha ottenuto il 40 per cento delle preferenze. E 90 dei 217 seggi del Parlamento.
Il nuovo governo è in via di definizione, e dovrà essere in ogni caso di unità nazionale. Ennahda non solo non ha i numeri per governare da sola, ma già all’indomani delle elezioni ha auspicato una collaborazione con le tutte quelle forze politiche che riconoscano gli obiettivi della rivoluzione. Ovvero libertà, sviluppo e democrazia.
In attesa di conoscere i nomi dei nuovi ministri – secondo alcune indiscrezioni circolate sulla stampa tunisina al partito islamico potrebbero andare ministeri chiave come Esteri, Interni e la Giustizia mentre al partito Ettakatol quello delle Finanze – c’è una variabile che preoccupa e fa discutere. In Tunisia come in un Occidente ancora poco abituato a interagire con l’islam politico, anche se moderato. Si tratta del ruolo (soprattutto futuro) dei movimenti estremisti salafiti.
Non a caso ha fatto molto discutere l’irruzione di alcuni militanti salafiti a fine novembre all’interno della Facoltà di lettere di Manouba, vicino a Tunisi, quando una cinquantina di attivisti decisi a ottenere l’iscrizione di una studentessa velata con il niqab hanno bloccato le lezioni, invocando aule distinte per studenti e studentesse. E tirandosi addosso le critiche del ministero dell’Istruzione tunisino che ha ribadito la propria opposizione all’ingresso di studentesse velate con il niqab.
Sull’argomento sono diversi gli analisti tunisini che suggeriscono di non sottovalutare il potenziale destabilizzante di queste formazioni, soprattutto in una fase politica ed economica molto delicata per il Paese. Senza però confondere islam moderato e derive estremiste.
Secondo uno dei blogger tunisini di Nawaat, piattaforma nata nel 2004 e vincitrice del Netizen Prize 2011 assegnato da Reporters sans frontières e Google per la libertà di espressione su Internet, l’apertura seguita in Tunisia alla cacciata di Ben Alì ha giocato un ruolo chiave nel ridare fiato ai salafiti. Permettendo ad alcuni gruppi di superare l’isolamento a cui li aveva costretti il regime. Come è avvenuto per la formazione Ansar al-Sharia (AST), nata ufficialmente nell’aprile scorso e che tra i suoi riferimenti spirituali ha al-Khatib al-Idrisi, imprigionato per diversi anni sotto Ben Ali.
Forte di un certo consenso in alcune zone del Paese e quartieri della capitale, nei mesi scorsi l’AST, che insieme ad altre formazioni affini ha lanciato una dura campagna per boicottare le elezioni di ottobre con scarsi risultati, ha investito molto nella comunicazione su internet. Aprendo due profili su Facebook i cui contatti sono progressivamente aumentati negli ultimi mesi.
In ogni caso, nonostante “blitz” salafiti si siano verificati in almeno altri due atenei del Paese, l’equazione secondo la quale l’ascesa di un partito islamico moderato come Ennahda agevoli di fatto un’estremizzazione nel Paese, non convince molti. E tanti in Tunisia sono pronti ad aspettare per giudicare Ennahba, che fra l’altro ha prontamente condannato le aggressioni salafite.
Non solo perché il partito islamico moderato ha dalla sua una lunga tradizione politica (a differenza dei gruppi salafiti tunisini) ma anche perché può vantare una lunga e consolidata militanza pacifica.
di Tiziana Guerrisi