Che hanno in comune Cina, Israele, Iran, Arabia Saudita e Afghanistan? Che tutti hanno preso zero punti in materia di libertà religiosa e sono in fondo all’indice dei diritti umani nel mondo pubblicato nel giorno della Dichiarazione dei diritti umani dal Ciri, il Cingranelli-Richards Human Rights Data Project. L’indice misura annualmente in 3 punti, da 0 a 2, una serie di 15 diritti umani riconosciuti internazionalmente come diritti politici e sociali basilari, inclusi il diritto di spostarsi nel paese di residenza, quello di cambiare paese, l’integrità fisica (tramite un indice che riassume il rispetto dei governi riguardo le esecuzioni extragiudiziali, la scomparsa, l’imprigionamento politico e la tortura), i diritti economici, sociali e politici delle donne e quelli dei lavoratori, e i diritti individuali come la libertà di parola e il diritto di assemblea e di associazione. Fra i 15 diritti la libertà di religione, cioè la misura delle restrizioni governative rispetto la libertà di religione e la libertà dalla religione.
Fra i 195 paesi presi in considerazione, Israele prende il punteggio minimo rispetto alla libertà religiosa ormai da 7 anni, insieme ad altri 52 paesi come la Russia, la Romania, l’India, il Messico e la Turchia. Hanno preso il punteggio massimo sia paesi occidentali come gli Stati Uniti, la Svezia, l’Austria, il Belgio e la Polonia, sia diversi paesi non occidentali come il Sudafrica, il Libano e l’Angola. E l’Italia? Il nostro paese si trova a mezza strada fra i paesi liberi e quelli repressi a livello religioso e ha preso 1, insieme alla Spagna, il Bangladesh, il Bahrain, l’Ucraina, la Mongolia.
Il Cingranelli-Richards raccoglie e studia parametri annualmente sin dal 1981 usando due fonti, le relazioni sui diritti umani di Amnesty International e quelle sulla pratica dei umani stilati per ogni paese dal Dipartimento di Stato americano. Il Ciri è prodotto dai professori David L. Cingranelli dell’Università di Binghamton e David L. Richards dell’Università del Connecticut, entrambe negli Stati Uniti. Il database è usato in 150 paesi da studiosi, studenti, politici e analisti di oltre 400 organizzazioni. Fra queste la Banca mondiale, che comprende due istituzioni possedute dai 187 paesi membri, la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo e l’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo. La Banca mondiale è stata creata nel 1945 dalle Nazioni Unite per assistere finanziariamente e tecnicamente i paesi in via di sviluppo e sconfiggere la povertà secondo il principio “aiutare il paese ad aiutare se stesso”. Da almeno 10 anni l’assistenza viene prestata a determinate condizioni in termini di gestione del bene e di rispetto dei diritti umani.
L’indicatore complessivo basato sui diritti umani del Ciri stabilisce un punteggio che può andare fino a 30, mentre il paese con indicatore peggiore ha il punteggio di 0. In base a questa tabella generale i 10 paesi migliori sono la Danimarca e l’Islanda (30), l’Austria, la Nuova Zelanda e la Norvegia (29), seguiti da Australia, Belgio, Finlandia, Liechtenstein, Lussemburgo, Olanda, San marino e Svezia (28). La media del mondo è di 18 punti, gli Stati Uniti si attestano al quinto posto con 26 punti. I 10 paesi con un punteggio peggiore in termini di diritti umani sono Birmania, Eritrea e Iran (2). Si attestano al secondo posto Cina, Corea, Yemen e Zimbabwe (3), seguiti da Arabia Saudita (4), Congo e Nigeria (5).
Fino a qui niente sorprese. Nel 2009-2010 il diritto all’integrità fisica è migliorato di due punti in Italia, insieme a paesi come l’Angola, il Chad, il Cile, la Guinea, il Kenya e le Seychelles. Nello stesso periodo in Italia è diminuito anche l’uso della tortura in prigione, così come è diminuito in Danimarca, Cile, Spagna. Sorprendente invece il risultato di paesi insospettabili come l’Austria e il Canada, in buona compagnia del Giappone e di paesi africani e asiatici, dove sempre nel 2009-2010 l’uso della tortura è aumentato.