Politica

Dopo un mese alla guida del governo<br/>Mario Monti rischia di perdere 40 voti

Oggi la fiducia sulla manovra, il consenso del premier perde pezzi in Parlamento e i partiti sono già in campagna elettorale. Berlusconi sul futuro del professore: "Non è detto che duri"; Bersani in difficoltà sul fronte interno per pensioni e lavoro: "L'articolo 18 non si tocca"

Mario Monti con Giorgio Napolitano

“E’ come essere a piedi per strada, arriva un’auto che ti investe e passa il tuo peggior nemico. Per non morire, accetti di farti accompagnare in ospedale perfino da lui”. La logica è la stessa con cui il Pdl si appresta a votare la manovra (con fiducia) del governo Monti. Parola di Silvio Berlusconi, visibilmente acciaccato dall’incidente, ma in fin dei conti ancora vivo e vegeto. E’ ‘indeciso’: non sa se farsi vedere alla Camera oggi e fare la sua dichiarazione di voto. Nel dubbio, però, il messaggio lo ha già recapitato durante la presentazione del libro di Bruno Vespa. Il futuro del governo tecnico “dipende da come vanno i sondaggi: se una parte politica vede la vittoria sicura, credo che potrebbe avere la tentazione di chiedere lo scioglimento delle Camere”.

Per cui non solo Monti non ha “nessuna certezza” di restare fino al 2013, ma comunque vada, da qui a quel giorno, dovrà fare i conti con almeno 200 deputati pronti a staccare la spina appena l’umore degli italiani di centrodestra darà cenno di una risalita. Monti li ha accontentati sulle liberalizzazioni (anche se il premier promette che contro le lobby avrà una “determinazione tenace”), non li ha innervositi con la patrimoniale (ancora ieri Berlusconi ha detto che “non si possono cambiare le pensioni se si toccano i diritti acquisiti né fare la patrimoniale continuativa per i capitali rientrati con lo scudo fiscale”) e ha scelto la linea morbida sull’aliquota Irpef. Conviene tenerseli buoni, che sono loro i più volitivi.

Sul fronte opposto non c’è da temere: il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ieri ha perfino raggruppato la pattuglia degli onorevoli Pd per convincere alcuni a farsi passare i mal di pancia. E’ il gruppo che sta in commissione Lavoro, quello vicino a Cesare Damiano e “di provenienza Cgil”. Sono quegli ex Ds che sanno perfettamente che la norma sulle pensioni che penalizza i lavoratori precoci, gli operai del Nord la faranno pagare cara. Bersani però li ha implorati: “Quello che il Pd non ha ottenuto fin qui, lo otterrà in futuro. L’importante è che stiamo tutti assieme”. E ora che si avvicina la riforma del mercato del lavoro, promette, sull’articolo 18 farà le barricate. Pare così rientrata la minaccia di astensione di due democratici, Antonio Boccuzzi e Stefano Esposito. Ma certo Monti oggi non porterà a casa gli stessi voti di un mese fa.

E forse ieri pomeriggio, a colloquio con il presidente Giorgio Napolitano, ha parlato anche di questo. Il 18 novembre toccò quota 556: gli voltarono le spalle solo i 59 leghisti, Domenico Scilipoti e Alessandra Mussolini. Ora che ha sfornato la manovra ‘lacrime e sangue’ non avrà più i 22 voti dell’Italia dei Valori. Non ci saranno i 3 di Noi Sud. Non ci sarà Giuseppe Giulietti. Dubbiosi anche i 4 Popolari per l’Italia di domani (Saverio Romano, Pippo Gianni, Michele Pisacane e Francesco Ruvolo), così come è ballerino il voto finale di un’altra parte di Popolo e Territorio. Spiega il portavoce Francesco Pionati: “L’orientamento che tra noi sta emergendo è di votare la fiducia, ma astenersi sul voto finale alla manovra, per esprimere dissenso rispetto alle cose che il governo Monti sta facendo. Bisogna dare un segnale chiaro ai tecnici”.

Lo stesso che sembra intenzionato a dare anche Guido Crosetto: “Un conto è la fiducia, un conto è la manovra. Sulla seconda Monti ne avrà molti meno. Anche perché – aggiunge – si vota alle 9 di sera”. Il numero che conta, comunque, sarà quello destinato a concludersi intorno alle 14. Le dichiarazioni di voto cominciano intorno alle 10 e saranno trasmesse in diretta tv. La Lega gongola già. Mercoledì notte sono rimasti in Aula fino alle 4 e mezza di mattina. Poi, appena svegli, hanno pensato a come finire un’altra volta sui giornali dopo il caos al Senato di due giorni fa. Hanno scelto di rispolverare una tecnica “inventata” dal Pd Roberto Giachetti otto mesi fa: mettere ai voti il processo verbale e far andare sotto la maggioranza. Fu un successo, si fa per dire, visto che leghisti e pidiellini si infuriarono talmente tanto da insultare Ileana Argentin, deputata (disabile) del Partito democratico. Ieri alle camicie verdi non è arrivata la soddisfazione della vittoria numerica ma è rimasto il gusto degli insulti: le urla, una rissa sfiorata, due deputati espulsi perché si sono messi a esporre cartelli contro la manovra seduti ai banchi del governo. Annunciano nuove azioni eclatanti per la diretta tv di oggi. Obiettivo, arrivare dritti nelle case degli italiani.

da Il Fatto Quotidiano del 16 dicembre 2011