Partono nell’incertezza, e un po’ nella confusione, ma almeno partono subito, i negoziati per tradurre presto in pratica le decisioni sul Patto di Bilancio del Vertice di Bruxelles dell’8 e 9 dicembre. In meno di una settimana, una bozza di testo è pronta e le trattative sono avviate: obiettivo, molto ottimistico, chiuderle anche prima di marzo.
Certo, alcuni degli elementi di partenza, messi su un tavolo intorno a cui siedono in 27 – c’è anche la Gran Bretagna, che pure il Patto non l’accetta -, possono apparire bislacchi e sono probabilmente destinati a evolvere cammin facendo. Uno su tutti: basterebbe il sì di 9 dei 17 Paesi dell’euro per fare partire il Patto, che sarà però valido a quel momento per tutti i Paesi dell’euro e per tutti i Paesi che l’hanno accettato.
Ora, 9 è la maggioranza di 17 – ma bisognerà pure pesare i Paesi: mica che, tanto per dire, Slovacchia, Lituania, Estonia, i tre del Benelux, la Grecia, Cipro e Malta, che sono nove, potranno dettare legge a Francia, Germania, Italia, Spagna e altri dicendo -. E nove è solo un terzo di 27 (o 26 che siano gli aderenti al Patto).
Certo, dire che ne bastano 9 perché l’intesa scatti accorcia i tempi e avvicina l’entrata in vigore del Patto, che appare a tutti urgente, ma nel contempo insufficiente. Vediamo che cosa ne hanno detto, in settimana, alcuni dei leader alle prese con la crisi del debito nella eurozona.
Parlando al Parlamento europeo, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha ammesso che l’intesa per rendere più rigide le regole sui disavanzi di bilancio non basta: bisogna fare ripartire – ha detto, e gli eurodeputati hanno condiviso – la crescita e l’occupazione.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel prevede che la crisi durerà anni e dice che non c’è soluzione “facile o veloce”, anche se la scelta del Patto di Bilancio è irreversibile. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron hanno proseguito a distanza la loro pantomima di litigio europeo.
E Mario Monti ha difeso i risultati del Vertice di fronte al Parlamento italiano, insistendo, però, sul fatto che la crescita è il problema principale e dando un colpo al cerchio e una alla botte delle relazioni europee dell’Italia: da una parte, bisogna evitare il dominio franco-tedesco; dall’altra, la posizione di Londra era inaccettabile.
Se i leader provano a coniugare pressione e ottimismo, le agenzie di rating, bontà loro, ci mettono solo la pressione e condizionano i mercati: ci fanno sapere che la recessione dell’eurozona potrebbe essere più grave del previsto. Ma, almeno, la ricetta che ci propinano coincide con quella dei leader: bisogna che l’Ue si concentri sulla crescita. Come farlo, però, Merkel e Sarkozy, Monti e Barroso non ce l’hanno ancora spiegato. Cercasi un Roosevelt europeo, ma quello giusto, Franklyn Delano.