Cultura

“Ludwig, storie di fuoco, sangue e follia”
Un libro percorre la storia della banda

La giornalista Monica Zornetta ha pubblicato un volume per Baldini e Castoldi Dalai per raccontare le vicende della banda che tra gli anni '70 e '80 terrorizzò il Nordest con diversi omicidi. Valore aggiunto, l'intervista esclusiva di Wolfgang Abel, condannato a 27 anni di carcere insieme all'amico Marco Furlan

di Emanuele Salvato
Ludwig, la sigla che terrorizzò il Nordest tra gli anni '70 e '80

“La banda c’è, esiste. Fin qui siamo tutti d’accordo. Ed è una banda composta da quattro o cinque persone più un paio di fiancheggiatori. […] Marco Furlan era più o meno un collaboratore della banda: io l’ho capito quando è fuggito a Creta. […] Penso che Ludwig sia un ambiente di gente un po’ deviata e variegata, quindi con un coefficiente di intelligenza variabile. Ludwig è un ambiente sfizioso, molto superficiale a livello emozionale. Lo vedo quasi come una loggia segreta dove l’omicidio può essere una conseguenza, che so, di un’antipatia, di un’insofferenza, di un odio o cose del genere”. Il vero valore aggiunto del libro di Monica Zornetta “Ludwig, storie di fuoco, sangue e follia” (ed. Baldini Castoldi Dalai) sull’organizzazione che tra gli anni ’70 e ’80 seminò una lunga scia di sangue in tutto il Nordest massacrando tutti coloro che non corrispondevano al loro ideale di purezza, sta nell’intervista esclusiva concessale da Wolfgang Abel, condannato a 27 anni di carcere insieme all’amico Marco Furlan, entrambi appartenenti alla cosiddetta “Verona bene”, ritenuti ideologi dell’organizzazione di matrice neonazista e responsabili di alcuni dei delitti che Ludwig si è auto attribuito: l’uccisione di due frati di Monte Berico e del prete di Trento, il rogo del cinema a luci rosse Eros di Milano (6 morti), l’attentato alla discoteca Liverpool di Monaco (un morto) e quello alla discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, dove, nel 1984, vengono catturati mentre cercano di incendiarla con al suo interno 400 ragazzi. Da quest’episodio partiranno le indagini che porteranno gli inquirenti a collegare Abel e Furlan a Ludwig. Rimangono tuttora senza colpevoli l’omicidio di un senza tetto di Verona, quello di un tossicodipendente di Venezia, di un omosessuale di Padova e di una prostituta di Vicenza.

Adesso Abel, che di anni ne ha scontati 23 fra carcere e casa lavoro, fa il trattorista in un agriturismo della Valpolicella e cura gli interessi di famiglia. Una famiglia facoltosa. Anche per questo risulta strano che l’adesso 50enne dottore in matematica, considerato di un’intelligenza fuori dal comune, così come l’ormai ex amico Furlan, abbia chiesto 200 euro alla giornalista per vuotare il sacco e rivelare particolari inediti. Una cifra che non cambia la vita ma che, secondo l’autrice del libro, “rientra nella sua logica di non fare nulla per nulla”. E così Monica Zornetta incontra Abel per sei volte: prima in piazza Bra, poi dove lavora e anche a casa sua. Conosce la madre, scopre che adesso è fidanzato, anche se la sua ragazza non la vede mai, va con lui a fare la spesa, pranzano assieme. Entrano in confidenza, si telefonano spesso. Per questo le risulta strano che, una volta terminato e pubblicato il libro – al quale Furlan, che di anni in carcere ne ha fatti 16, non contribuisce raccomandando alla giornalista di “attenersi alle documentazioni ufficiali” – l’uomo originario della Baviera e figlio del responsabile di un’importantissima compagnia di assicurazioni tedesca, le invia uno scarno sms con scritto: “Ho letto il libro, tutto ok”.

Nemmeno una chiamata. Forse qualcuno l’ha ripreso perché ha parlato troppo di Ludwig, ha rivelato particolari che era meglio tenere ancora nascosti. Eppure a Monica Zornetta Wolfgang Abel aveva detto di sentirsi protetto e per questo, adesso, poteva vuotare il sacco. Oltre all’intervista, nel libro c’è anche un capitolo scritto dallo stesso Abel nel quale continua a proclamarsi innocente, estraneo agli omicidi di Ludwig e all’organizzazione stessa. Si dice vittima di un “complotto del tempo”, secondo il quale faceva comodo alle autorità italiane avere un colpevole di origini bavaresi, come Hitler. E quando viene colto con le mani nel sacco, anzi, sulle taniche di benzina con cui stava per incendiare una discoteca del mantovano piena di ragazzi, dice, puerilmente, che lo stava facendo per ripicca contro i buttafuori che “la settimana prima mi avevano pestato i piedi”. Scarica tutta la colpa di Ludwig su Furlan dal quale si è sentito tradito, dopo la sua vana fuga in Grecia per cercare di evitare al carcere. Una latitanza durata quattro anni e secondo Abel coperta e sostenuta economicamente da organizzazioni di estrema destra (Ordine Nuovo, Guerriglieri di Cristo Re), molto attive e potenti a Verona in quegli anni  e parte della rete in cui rientrava pure Ludwig. Nel libro, oltre alla preziosa testimonianza di Abel, c’è una precisa narrazione storica dei fatti e dei delitti del movimento neonazista che era solito rivendicare le proprie gesta criminali con volantini anonimi scritti con caratteri runici, sormontati da un’aquila che regge una svastica e chiusi con la scritta Gott Mit Uns (Dio è con noi).

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