Circostanze particolari mi hanno portato in questi ultimi pomeriggi a assumere insoliti quantitativi di televisione. Insoliti sia per qualità che per quantità. Parlo di quei contenitori in cui sedicenti giornalisti-conduttori intrattengono e si intrattengono in una sorta di salotto artificiale a parlare di, e a parlare con, un preteso Paese reale, alla (pancia della) gente. Preferibilmente con l’occhio umido, la voce accorata, oppure, un istante dopo, col sorrisetto ammiccante, e un instante ancora dopo con sguardo e tono di riprovazione o di indignazione. A volte sguardi e toni si mescolano senza soluzione di continuità, a dettare e inseguire contemporaneamente (si fa per dire) contenuti. Quali contenuti? Vediamo.

L’amore tra persone molto anziane, ospite in studio una coppia di ultraottantenni, pare ancora attivi sessualmente (sguardi divertiti e sorrisi ammiccanti). Il numero incredibile di bambini che scompaiono ogni giorno a questo mondo (tono accorato e sguardo lacrimoso). Marcella Bella che, in collegamento da casa sua, fa vedere la spallina del reggiseno viola e il doppio mento (sorrisi compiaciuti e complici). La piaga dell’abusivismo edilizio in Campania, con in collegamento cittadini rumoreggianti (tono di riprovazione e indignazione multipla). Il ritrovamento di alcuni capelli sul luogo di un delitto consumatosi questa estate in centro Italia: di chi saranno questi capelli? Cosa dirà l’esame del DNA? (sguardo serio-accorato-indagatore). La maratona TV di raccolta fondi per la ricerca scientifica: nella prima ora di trasmissione abbiamo raccolto più di un milione! (voce entusiasta, applausi, gioia, quasi commozione mista a italico orgoglio). Una famosa cantante neomelodica, compagna di un ancor più famoso cantante neomelodico, ci informa che il figlio, che non ha ancora compiuto due anni, manifesta significativi segni di indipendenza, perché già rifiuta il ciuccio; si viene anche a sapere che la cantante purtroppo quest’anno non sarà a Sanremo; ci dice infine che non è contraria all’idea di fare un altro figlio col celebre cantante neomelodico: non subito però, tra un paio d’anni (applausi, gioia e complimenti alla cantante che pare cucini anche molto bene).
In un altro posto, in un’altra trasmissione televisiva, poi, ho intravisto un collegamento in diretta da davanti la pasticceria dentro cui una giovane, che ha appena finito di scontare anni di detenzione per omicidio, si incontrava per la prima volta da quando è in libertà, con il padre. Da davanti alla pasticceria la telecamera riusciva a riprendere il profilo, un pò  sfocato, dei due attraverso la vetrina. In studio c’era una giornalista in collegamento telefonico con un esperto (non ho capito se di carceri o di pasticcerie).

Ora, la mia prima reazione di fronte a roba di questo genere oscilla tra la noia, il disgusto e l’indifferenza. Poi penso che mi basta ignorare il tutto, spegnere. Anzi, basta non accenderla proprio la tv. Ma c’è qualcosa che non va, che rode, che non mi lascia tranquilla la coscienza. Io posso decidere se e quando spegnere la tv, o di non accenderla proprio, magari di non tenerla neanche in casa. E quelli che non possono? Quelli che non hanno mezzi, capacità, occasioni, alternative? Se io spengo la tv per loro cambia qualcosa?

Riesco solo a consolarmi con quel po’ di servizio pubblico che ancora passa, prevalentemente in radio. Per esempio gli spot dei giocattoli di 610: Pasquale, il bambolotto che risponde male e Addolorata, la bambola che fa la piazzata. Demenza, ma questa volta demenza felice.

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