“L’Emilia Romagna deve reagire o rischiamo di essere colonizzati dalle mafie, come in Lombardia”. Con queste parole Matteo Richetti, presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione, ha aperto l’incontro organizzato per presentare il Protocollo d’intesa per la legalità nell’economia, passo avanti all’insegna della responsabilità e dell’impegno alla lotta contro le mafie italiane, siglato da Unioncamere, Libera Informazione e Regione, e firmato anche da una giovane forlivese per volontà di Don Luigi Ciotti, a simbolo delle nuove generazioni.
“La mafia è un fenomeno difficile da combattere ma non intendiamo cedere terreno – ha aggiunto Richetti, aprendo i lavori – e il protocollo rappresenta il presupposto di una risposta basata sulla cooperazione, verso una maggiore promozione della legalità”.
Prima del Protocollo ufficiale è stato il momento del dossier sulle mafie in Emilia Romagna, un lavoro redatto da una sinergia di forze che operano in tutto il territorio e che evidenzia una zona grigia, già esistente in regione, al cui interno da anni operano le cosche.
Attraverso questi documenti “si è voluto ribadire il lavoro che si sta portando avanti in questo territorio” ha sottolineato Daniele Borghi di Libera Emilia Romagna “prima con la legge regionale 11/2010 sugli appalti nell’edilizia, e poi con l’approvazione della normativa 9 maggio 2011 n° 3 contro le infiltrazioni mafiose. Secondo quella volontà confermata da Richetti, di dare solidità a un clima virtuoso come argine alla criminalità organizzata”.
“Perché la domanda oggi non è più se in Emilia Romagna c’è la mafia” ha precisato Roberto Alfonso, Procuratore della Repubblica di Bologna “ma come e dove essa opera”. La criminalità organizzata, sulla base dei dati contenuti nel dossier, è ormai presente in tutto il territorio regionale e la sua influenza è forte e sedimentata. Anzi, secondo il capo della Dia di Napoli, Maurizio Vallone, “ormai i clan mafiosi che si trovano qui sono la seconda generazione”. Un commento realistico che cela una convinzione dimostrata dalle inchieste delle forze dell’ordine, avvalorata da dati in costante inasprimento: sequestri, arresti, confische.
“Oggi la mafia non è più un problema solo del sud, ma di tutta l’Italia”, ha chiarito Anna Canepa, magistrato della Divisione Nazionale Antimafia. “E l’insidia maggiore è rappresentata dalla grande liquidità che essa possiede, grazie al traffico di stupefacenti. Una liquidità che viene reinvestita in attività penalmente più sicure e nell’assoggettamento di chi opera nel tessuto economico, come gli imprenditori. Il tutto per arrivare alla criminalizzazione dell’economia, il dato più allarmante emerso dalle indagini”.
“Il dossier quindi” ha aggiunto Don Luigi Ciotti, presidente di Libera “non rivela sorprese e anzi, io continuo a stupirmi di chi si stupisce. Oggi la forza della mafia al nord non sta più nella violenza, nell’occupazione militarizzata, ma nell’invisibilità, nella mimetizzazione sociale portata avanti tramite l’instaurarsi di relazioni con il tessuto territoriale”.
I dati riportati sul dossier, e raccolti da Libera Informazione, lasciano pochi dubbi sulla situazione dell’Emilia Romagna. La regione nel 2010 ha avuto 107 beni confiscati e segnalazioni sospette che in due anni, dal 2008 al 2010, sono più che raddoppiate. A Bologna, infatti, sono passate da 224 a 549, a Rimini da 93 a 436 e a Modena da 97 a 424. Secondo il Ministero della Giustizia, Bologna è ormai diventata centro nevralgico per il traffico di cocaina al pari di Milano, i procedimenti penali legati alla criminalità organizzata sono aumentati da 71, nel 2005, a 103, nel 2008.
Numeri che tuttavia non rappresentano totalmente la ragnatela intessuta dalle mafie. Secondo il procuratore Alfonso, la penetrazione può essere classificata su tre livelli e in Emilia Romagna sono presenti tutti: insediamento, infiltrazione e radicamento, che equivale a una sorta di colonizzazione della regione. Ciò che accaduto, appunto, in Lombardia.
Quindi, come ha sottolineato il presidente dell’assemblea regionale, la risposta alla domanda relativa all’esistenza della mafia al nord è identica per tutti, c’è. Un quadro molto preciso della situazione l’ha delineato Lorenzo Frigerio, coordinatore di Libera Informazione e autore della sezione del dossier intitolata Mafie, dalle infiltrazioni al contagio: “il lavoro fatto documenta una presenza ormai datata nel tempo, una presenza che non ha ancora le dinamiche della colonizzazione come in altre regioni, ma che, come ha dichiarato Richetti, deve inquietare. Perché contraddistinta dal tentativo, a volte riuscito, di entrare nell’economia attraverso gli appalti, l’estorsione e soprattutto il riciclaggio”.
“In Emilia Romagna – prosegue Frigerio – il potere mafioso più forte è indubbiamente quello della Camorra, dei casalesi in particolare, radicato un po’ ovunque a partire dai piccoli comuni. Ma anche la ‘Ndrangheta è ben insediata in regione, tra Parma, Reggio Emilia e la riviera romagnola, dove agisce tramite la gestione di locali notturni, del gioco d’azzardo e del settore alberghiero. E poi c’è Cosa Nostra, che ha una presenza più sfumata e nuclei fondamentali nelle zone di Parma, Reggio Emilia, poi Modena e Castelfranco Veneto. Infine ci sono quelle che noi definiamo le altre mafie, gruppi criminali su base etnica che agiscono spesso in sinergia con le organizzazioni italiane”.
“Non bisogna però lanciare un allarme che generi solo paura” ha concluso Frigerio “ma imparare ad agire in modo che nasca la consapevolezza nelle persone. In modo che la regione, come è successo altrove, non si accorga troppo tardi di avere problemi in casa”.