Brutta settimana, brutti segnali, brutto Paese quello che si scopre attraversato da latrati razzisti. A Torino il rogo di un campo rom (innescato dalla bugia di una ragazzina forse più fragile che stupida, indubbiamente pericolosa) semplicemente ci spiega qual è il prezzo dell’aver tollerato per anni la denigrazione del diverso. A Firenze l’assassinio di due senegalesi e il ferimento di altri tre è stato definito il raptus di un invasato.

Non so se liquidare come impazzimento un gesto che ovviamente non ha nulla di sensato sia di qualche utilità. Una certezza c’è: chiunque veda un pericolo in un altro perché di fede o etnia differente, ha enormi problemi. Ma non si può leggere tutto come un fatto individuale, come non si può dire che siamo – tout court – un popolo xenofobo. Eppure per anni abbiamo lasciato impunemente sproloquiare un partito di governo che sputava insulti su tutti, dai meridionali agli extracomunitari. Le “cazzate” della Lega? Massì, lasciamoli dire: che male faranno?

Mercoledì sera a Milano con Giorgio Ambrosoli e Nando Dalla Chiesa abbiamo presentato l’ultimo libro di Gian Carlo Caselli, “Assalto alla giustizia” (Melampo). Tra il pubblico – giustamente indispettito da un’irruzione di un gruppetto di militanti di Forza Nuova –, un ragazzo ha fatto una domanda a Caselli. Incidentalmente ha raccontato di aver discusso con alcune persone della strage di Firenze: qualcuno aveva parlato dell’assassino come “eroe bianco”. Il discorso sulla libertà di manifestazione del pensiero è complesso, ma alcune cose non si dovrebbero poter dire.

Caserta è in subbuglio proprio per una frase che una professoressa di scuola media avrebbe rivolto a un’alunna, che protestava perché il suo test di geografia – uguale a quello di altri compagni – era stato valutato diversamente: 7 invece che 9. L’insegnante – circostanza avvalorata dalle testimonianze scritte dei compagni della bambina – le avrebbe detto: “Ma è perché tu sei diversa, sei nera”. Un’indagine del provveditorato è stata immediatamente avviata, aspettiamo i risultati. Se la frase è stata detta, è stata pronunciata da una persona chiaramente disturbata. È una storia laterale, ma quali danni può produrre?

Abbiamo oggi – e grazie al cielo – un ministero alla Cooperazione e all’integrazione. Il titolare, Andrea Riccardi, ha sollevato in questi giorni di episodi miseri un problema fondamentale: “Bisogna stare attenti alle parole perché possono essere pericolose. La predicazione del disprezzo ha una responsabilità di linguaggio. Occorre ritrovare un nuovo uso pubblico delle parole”.
Le parole seminano odio, che poi germoglia. Spargono benzina, a poco a poco, in modo che il giorno in cui un cerino cadrà – per sbaglio o con dolo – tutto prenderà fuoco. Qualcuno pensa che queste considerazioni siano anche troppo ovvie, come ovvio è il fatto che razza è un termine biologicamente privo di significato. Ma bisognerà replicarle sapendo di ripetersi, come antidoto, ogni volta che il veleno della discriminazione s’inietta in un corpo sociale ancora miseramente debole.

Il Fatto Quotidiano, 18 Dicembre 2011

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