Le scorte dovevano restare nei magazzini a marcire. Così almeno, si era augurato il governatore Roberto Cota, e invece, per un destino cinico e beffardo, il suo Piemonte è la regione italiana con il record di aborti fatti con la pillola abortiva RU486. Ma non è questa l’unica ‘particolarità’ sulla diffusione di questo farmaco, la cui commercializzazione in Italia è stata autorizzata dall’1 aprile 2010, dopo un lungo e travagliato iter. Stando ai dati presentati dalla Nordic Pharma, l’azienda autorizzata a distribuirla in ambito ospedaliero (la pillola non si può acquistare in farmacia), Lazio e Lombardia, che insieme contano circa un terzo di tutti gli aborti nazionali, sono tra le regioni più in ritardo nell’utilizzare il farmaco.
Nonostante tutte le difficoltà, tra cui il protocollo che impone tre giorni di ricovero ospedaliero in stanze appositamente dedicate, il numero di donne italiane che partorisce farmacologicamente è in crescita. Per l’esattezza lo fa il 25% con una gravidanza sotto le 7 settimane (è questo il termine entro cui la Ru486 può essere impiegata). Per avere una dimensione della diffusione, bisogna tener presente che in un anno gli aborti fatti secondo la legge 194 sono circa 118mila, di cui 30mila sotto le 7 settimane. Complessivamente nel 2010 sono stati venduti da aprile a dicembre 4300 confezioni, mentre nel 2011 sono stati finora 6700, e l’azienda conta di arrivare a 8000 entro fine anno.
La diffusione dell’aborto farmacologico rimane tuttavia ancora molto disomogenea nel panorama regionale. In cima alla classifica delle vendite, nonostante gli auspici del suo governatore, c’è il Piemonte con 1792 pezzi. Molti forse ricorderanno le dichiarazioni di Cota, che appena eletto ma non ancora insediato, aveva detto che le scatole già acquistate durante la presidenza di Mercedes Bresso sarebbero rimaste in magazzino per quanto in suo potere e che avrebbe chiesto a tutti i direttori generali di bloccare la pillola. Ma, come racconta soddisfatto Silvio Viale, ginecologo dell’ospedale S.Anna di Torino, uno dei primi a sperimentarla in Italia, “nonostante Cota, non ho avuto difficoltà a prescrivere la pillola abortiva alle donne che la chiedevano”. Il governatore leghista, contattato, non vuole aggiungere altro e ribadisce la sua posizione.
A seguire nella classifica c’è la Puglia (991) di Nichi Vendola, che dopo un inizio ‘sprint’ si è dovuta fermare dinanzi a problemi strutturali. E’ stata infatti la prima regione a utilizzare la Ru486 in regime ordinario dopo la registrazione del farmaco, ma dopo oltre un anno di duro lavoro ha perso Nicola Blasi, il ginecologo ‘pioniere’ del Policlinico di Bari, punto di riferimento in Puglia e in tutto il Mezzogiorno, che se n’è andato in prepensionamento a causa della “mancanza di organizzazione”. Poi ci sono Liguria (718) e Toscana (701), mentre stanno decisamente più indietro il Lazio di Renata Polverini (467) e Lombardia di Roberto Formigoni (338), che insieme contano oltre un terzo di tutti gli aborti nazionali a norma della l.194. L’Emilia Romagna è invece l’unica regione ad aver autorizzato anche il protocollo in day hospital, oltre a quello del ricovero, e a dare una sola compressa alla paziente (seguendo uno dei due protocolli autorizzati) e non tre come fanno in altre regioni. Per questo le confezioni acquistate sono ‘solo’ 435.
Il parto farmacologico invece non è mai decollato in altre regioni, dove la pillola non è stata comprata o quasi nel 2011: è il caso di Marche e Basilicata (0), Umbria (6, che però si sta attivando per autorizzare un protocollo in day hospital), Abruzzo (33), Trentino Alto Adige (41), Sardegna (45), Molise, Val d’Aosta e Calabria (circa 60). In questi casi “le regioni hanno comprato qualche scatola per essere in regola – spiega Marco Durini della Nordic Pharma – ma poi si sono scontrate con la difficoltà di usare il protocollo di ricovero ospedaliero di 3 giorni e riservare dei letti solo all’aborto farmacologico, soprattutto in tempi di tagli. Tanto più che l’aborto chirurgico viene ormai fatto in day hospital. Nelle regioni dove si usa di più la pillola invece, la paziente firma volontariamente per le dimissioni e poi rientra 2 giorni dopo”. Insomma, la consueta soluzione all’italiana. Intanto, del monitoraggio sull’uso della pillola annunciato dall’ex sottosegretario Eugenia Roccella, che prometteva di smascherare eventuali irregolarità, non si sono più avute notizie.