“È vero”, ha detto con pazienza Mario Monti a un certo punto della infinita discussione piena di distinguo e di ammonizioni: “È vero, non c’era bisogno di professori, bastavano i politici. Ma perché queste cose non le avete fatte prima voi?”.
Ha ragione, pensa chi ha assistito alla nuova opposizione leghista, teppismo allo sbando e insulti infantili nei banchi e nell’emiciclo della Camera e del Senato. Ha ragione, se si pensa al tipo di sostegno a luci spente e riserve mentali ad alta voce della ex Casa della libertà (mi permetto di dire “ex ” senza disprezzo perché essi stessi hanno fatto sapere che sono imbarazzati di se stessi e cambieranno nome). Ha ragione, se si pensa che il discorso di Di Pietro, che invitava a stare alla larga da Monti, è stato costantemente e calorosamente applaudito da poco più di metà dei suoi deputati Idv, e contraddetto subito dal deputato idv Cambursano. Ha ragione, quando si pensa che – nell’assemblea dei parlamentari Pd, giovedì 15 dicembre – il segretario Bersani ha dovuto dire: “Se votate contro Monti o vi astenete, votate contro di me. Qui si tratta di salvare il Paese, non di mettersi in buona luce con gli elettori”.
Tutto ciò costringe a confrontarsi con la frase di Monti alla Camera. “Capisco le vostre obiezioni. Ma perché queste cose non le avete fatte prima voi?”. Con una sola frase Monti rappresenta, per chi ne scriverà in futuro, il vuoto di vita politica, di competenza, di capacità di capire, di volontà di rispondere, che ha segnato tutti gli anni di Berlusconi e, purtroppo, tutti gli anni della sua opposizione, che è caduta nell’equivoco della collaborazione come male minore.
Ogni tentativo di denunciare lo stato delle cose, che alcuni, a partire da Sylos Labini, hanno descritto subito come tragico e pericoloso, a lungo è caduto in un irritato silenzio e trattato come un infantile disturbo, mentre si predicavano e accettavano iniziative di ogni tipo per “diminuire le distanze” e fingere di credere (o, peggio, credere in buona fede) “che gli italiani ci chiedono non litigare”.
Intanto il Paese precipitava, due su tre sindacati si erano rifugiati dietro il governo, contando su un’impossibile protezione. E persino la Confindustria ha cominciato a dire prima dei partiti che la finzione teatrale non poteva durare a lungo e che le condizioni dell’economia stavano diventando pericolose: niente sviluppo. Eppure Berlusconi va in giro per i talk-show bene accolto con le sue clamorose bugie. E come massimo provvedimento, contro la crisi devastante, pone il voto di fiducia sul rapporto di parentela fra una minorenne marocchina che gli interessa e il presidente egiziano.
II secondo capitolo del vuoto si apre quando il segretario del partito di Berlusconi, Alfano, dice senza pudore e senza imbarazzo, nel corso del talk-show privato di Vespa-Berlusconi Porta a Porta (dove per errore è capitato il presidente Monti) che “l’uscita dalla scena politica di Berlusconi non ha fatto risalire lo spread fra titoli italiani e titoli tedeschi, dunque è dimostrato che non era colpa sua”.
Il terzo imbarazzante capitolo del niente che diventa persino violenza verbale e fisica, è il comportamento della Lega dopo la caduta. Di colpo ministri che hanno esercitato a lungo il potere da posti chiave sono riapparsi, tempo tre ore dalle dimissioni, come capi-ronda capaci di distruttive parole d’ordine, violenza, insulti (“cialtrone”, “vaff…”) scardinando ogni punto di riferimento di ciò che era stato il loro mondo di potere fino a un momento prima.
Dietro il carnevale leghista c’è Bossi. Ha detto, in un momento di ritrovata lucidità, che Berlusconi lo fa ridere (nel senso del disprezzo). Dietro Bossi e il suo indice medio e il suo memorabile appello per la solidarietà fra i popoli, “fuori dalle balle” (dedicato agli annegati nel Mediterraneo nel tentativo di venire in Italia), c’è la povera Mussolini che, per sfuggire all’oblio, di tanto in tanto interviene per dedicare insulti al suo ex capo carismatico Fini (e invoca il fantasma di Berlusconi, che ormai è tutto ciò che le rimane della politica).
Il fantasma si fa vivo e risponde dal luogo giusto, la presentazione (ventunesima, su tutte le reti) del libro di Vespa che, essendo ispirato alla denigrazione, porta in copertina la parola “amore”. E, stando seduto al posto giusto, accanto a Vespa, annuncia, come leggendo carte dei Templari, che “Monti è disperato”, che “questo governo non dura”, che “quando torneremo noi al governo la manovra la faremo diversamente” (non ha bisogno di dire come).
La rivelazione adesso è completa: sotto la politica finta e bombastica del varietà e rivista non c’è nulla, ma quel nulla è riempito di stupido o illecito tornaconto, di vanagloria sprecata, di danno irreparabile per dolosa e prolungata omissione di atti di governo dovuti. Non resta che sperare nelle travi dei tecnici che, bene o male, puntellano la casa che crolla. E che i leader Pd, che adesso finalmente dicono insieme cose chiare, con un certo ritrovato vigore, non dimentichino ciò che viene prima di tutto: una legge elettorale che spinga Calderoli e la sua trappola fuori dalla scena, e riporti i cittadini a votare per candidati che hanno scelto.
Il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2011