Nonostante l'intesa che ha portato alla fine della prigionia del militare israeliano, ancora in stallo la situazione dei rapporti tra Ramallah e Tel Aviv. Procede, seppur a rilento, il processo di riconciliazione tra Hamas e Al Fatah
Hanno fatto rientro a casa altri 550 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Si è conclusa così, nella tarda serata di ieri, la seconda fase dell’accordo tra Hamas e Israele che ha portato a ottobre alla liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito nell’estate del 2006. In tutto, con la scarcerazione degli ultimi detenuti prevista dall’accordo (la maggior parte dei quali, 505, hanno fatto rientro in nottata a Ramallah mentre gli altri 41 son stati trasportati nella Striscia di Gaza) sono 1027 i palestinesi tornati liberi.
Una scarcerazione attesissima da una folla di palestinesi, centinaia dei quali erano al checkpoint di Beitunia, a sud ovest di Ramallah, dove, stando a quanto riportato dal quotidiano isaeliano Hareetz, si sono registrati veri e propri scontri tra i palestinesi in attesa di amici e parenti e i soldati israeliani, con tanto di lacrimogeni e granate da parte israeliana e lancio di pietre da parte palestinese.
Secondo l’Israel Prison Service (Ips) i palestinesi rilasciati fanno per lo più parte del braccio armato di al Fatah e 55 fra loro hanno meno di 18 anni. L’Ips ha inoltre precisato che nessun palestinese liberato era in carcere con una condanna all’ergastolo. Una specifica indicativa, che tenta almeno in parte di arginare la polemica sollevata da molti israeliani parenti di vittime di attentati terroristici per mano palestinese, insorti davanti all’accordo che ha riportato a casa il giovane Shalit. Tra l’altro proprio sabato la Corte di Giustizia israeliana ha respinto i ricorsi contro contro il provvedimento di rilascio opponendo come spiegazione l’interesse della sicurezza nazionale riconoscendo la legittimità decisionale del governo.
Intanto, sul fronte dei rapporti tra Tev Aviv e Ramallah, la situazione è in stallo. Tanto più dopo l’annuncio, ieri, della costruzione di altri mille alloggi a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Immediata la condanna del ministero degli Esteri francese, che ha bollato la decisione come una “nuova provocazione” nonché una decisione “illegale rispetto al diritto internazionale” e “un ostacolo supplementare sul cammino della pace”.
Dove invece il dialogo procede, seppur con esiti ancora molto incerti, è sul terreno della riconciliazione tra Hamas e al Fatah. A un mese dall’incontro ufficiale che ha visto insieme al Cairo il leader di Hamas, Khaled Meshaal, e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, infatti, nella capitale egiziana in queste ore sono riuniti delegati di entrambe le parti. A loro il compito di entrare nel vivo delle trattative che dovrebbero portare alla formazione di un governo di esperti di unità nazionale, primo passo per organizzare elezioni politiche e presidenziali entro maggio del 2012.
I tempi sono stretti e i temi in agenda molti, compresa la questione degli arresti politici che tanto nella Striscia di Gaza quanto in Cisgiordania hanno caratterizzato gli anni dello scontro tra le due formazioni. Ma l’alto profilo dei delegati arrivati al Cairo, insieme alle prime indiscrezioni che fanno riferimento a un clima abbastanza favorevole tra le parti, sembra confermare l’intenzione di trovare un accordo. Nel più breve tempo possibile.
di Tiziana Guerrisi