L’Europa e il mondo non possono permettersi un’altra grande crisi finanziaria. E per questo il Consiglio europeo ha chiesto all’Eba di determinare i fabbisogni di capitale delle banche. Per quelle italiane significa ricapitalizzazioni per 15 miliardi. Ma non è l’Eba a dettare le norme, bensì i regolatori nazionali. Quanto alle proteste delle banche, aumentare il capitale è possibile, purché non pretendano di farlo a prezzi non realistici e mantenendo bloccati gli assetti di controllo. Così come nei loro bilanci ci sono margini per ridurre gli attivi senza strozzare le imprese.
di Salvatore Bragantini* (lavoce.info)
La European Banking Authority (Eba), su mandato del Consiglio europeo, ha deciso che i regolatori nazionali (da noi, la Banca d’Italia) dovranno chiedere alle banche di aumentare entro giugno 2012 il capitale di elevata qualità (Core Tier 1) di 115 miliardi; ciò per portarlo, in via eccezionale e temporanea, al 9 per cento degli attivi ponderati per il rischio secondo il cosiddetto criterio “Basilea 2.5”, nonché per costituire – sempre in via eccezionale e temporanea – un cuscinetto a copertura del minor valore dei titoli del debito pubblico in portafoglio. Alle banche italiane si chiede di aumentare il capitale per 15 miliardi (di cui 7 per il cuscinetto sui titoli di Stato). Le altre banche più colpite sono quelle greche (30 miliardi), spagnole (26) e tedesche (13).
Chi detta le regole
La decisione dell’Eba è stata accolta da un fuoco di fila di critiche, molto aspro in Italia e Germania. Su lavoce.info, Marco Onado e Andrea Resti hanno già risposto a queste critiche. Alle loro impeccabili argomentazioni vorrei fare qualche aggiunta.
Va premesso che non è colpa dell’Eba se “i mercati” non si fidano delle banche europee; mettere la testa nella sabbia, come gli struzzi, non le aiuterebbe nella difficile ricerca della provvista adeguata, per scadenza e natura, al loro lavoro. Se l’Eba andasse in letargo in attesa che ritornino calma e razionalità, il finanziamento dell’economia reale non farebbe un passo in più. E con tutti i loro limiti, anche gli accordi di Basilea non sono la causa di queste paure: di nuovo, sospenderne l’attuazione, lungi dal calmare il panico, semmai lo scatenerebbe.
Alcune critiche all’Eba sono pur ragionevoli, ma riguardano temi su cui altri hanno colpe maggiori. L’Eba accetta, sì, che le ponderazioni per il rischio dei mutui siano diverse per diversi paesi e per diverse banche, con le italiane svantaggiate dalla maggior severità di alcuni modelli interni e di Banca d’Italia. Tuttavia, la possibilità che tali rischi siano davvero maggiori in Italia che all’estero forse non è solo teorica, vista la molto maggior lentezza nelle nostre procedure per il realizzo delle garanzie, tanto giustamente lamentata dalle banche. Ma il punto è un altro. Non è l’Eba a dettare le norme, bensì i regolatori nazionali, tanto gelosi delle proprie prerogative e contrari ai tentativi di dettare norme uniformi che permettano confronti significativi, “livellando il campo di gioco”. Anche le altre due grandi critiche toccano i regolatori nazionali più che l’Eba: è anzitutto a loro che spetta definire un rapporto massimo di “leva grezza”, o valorizzare gli attivi nascosti nella giungla del “Livello 3”. Le critiche saranno assai più giustificate quando gli stati membri autorizzeranno l’Eba a dettare norme in materia.
Poi c’è il tema dei debiti sovrani. Gli stress test Usa non hanno proprio considerato il possibile rischio sovrano: le presse federali, a differenza che da noi, sono pronte alla bisogna. E non è colpa dell’Eba – scrivono Onado e Resti- se gli Stati hanno bocciato la garanzia paneuropea sulle passività delle banche che avrebbe – quella sì – aiutato a “spezzare il circolo vizioso fra rischio bancario e rischio-paese”. Alcuni regolatori, purtroppo, mal vedono l’assicurazione paneuropea in quanto prelude alla vigilanza sovranazionale, da tempo necessaria, almeno per i grandi gruppi, ma da molti di loro – e dagli Stati – combattuta.
È difficile sovrastimare l’impatto di questa disastrosa decisione, da quasi tutti ignorata ma riflessa gioco forza nelle stime dell’Eba. Queste potevano essere ben diverse, avendo il vertice del 9 dicembre promesso che non sarebbe più successo come in Grecia, dove i creditori subiranno un rude “taglio di capelli”. Perché allora non fare anche il passo successivo? L’Eba sarebbe probabilmente lieta di sentirsi ordinare la cancellazione del “cuscinetto” sui titoli di Stato; resterebbe in tal caso da vedere la reazione dei mercati, ma almeno ognuno si prenderebbe le proprie responsabilità, e non si graverebbero i regolatori di responsabilità che incombono al potere politico.
Il ricatto delle banche
Resta da dire che le lamentele bancarie – particolarmente vocali, oltre alle nostre, le banche tedesche – sono un ricatto bello e buono, e pure per lo più infondato. La minaccia è esplicita: dovremmo aumentare il capitale, dicono i banchieri, ma siccome non possiamo farlo, per arrivare comunque a un Core Tier 1 del 9 per cento saremo costretti a ridurre il denominatore, quindi gli impieghi. L’insipienza dell’Eba ci precipiterà tutti nella recessione.
È falso, e non solo per le recenti parole di Mario Draghi (presidente della Bce), per cui “Le banche dovrebbero considerare l’opzione di ridurre i dividendi e i compensi”. È falso anche perché le banche possono ben aumentare il capitale, basta che non pretendano di farlo a prezzi irrealistici, e per di più mantenendo comunque bloccati gli assetti di controllo: si veda, pur con i suoi aspetti enigmatici, l’aumento di capitale della Popolare di Milano. Va aggiunto che gli spazi di manovra, per ridurre gli attivi senza strozzare le imprese, nei bilanci delle banche ci sono. Come lo Stato deve ridurre le spese in maniera selettiva, e non con tagli lineari, così sta alle banche discriminare, scegliendo quali impieghi mantenere e magari aumentare, e quali invece “tagliare”. È difficile, certo, ma non è forse questo il dovere delle banche, allocare in modo ottimale le scarse risorse finanziarie? E perché dovrebbero esser ben pagati i banchieri se si limitano, come un ragiunatt qualsiasi, a tagli indifferenziati? Riscoprano dunque il fascino e la difficile arte del banchiere, magari cominciando col vendere le partecipazioni in certe imprese “strategiche”: aggettivo che maschera di tutto, compresi molti investimenti utili a difendere rendite di posizione – aziendali o personali – inutili, se non addirittura nocivi, per la sana gestione bancaria.
L’Europa, come in verità tutto il mondo, non può permettersi un’altra grande crisi finanziaria: non ci sarebbero i mezzi per salvare un’altra volta le banche e il sistema bancario ombra. Anche se i banchieri fingono di scordarlo, è per questo che il Consiglio europeo ha chiesto all’Eba di determinare i fabbisogni di capitale delle banche; questa lo ha fatto, nell’ambito dei suoi poteri e delle sue responsabilità. Anziché soffiare sul fuoco della protesta lobbistica, cerchino i governanti degli Stati membri di fare, anch’essi, il proprio dovere.
*Presidente di Pro MAC S.p.A., società per la promozione del Mercato Alternativo del Capitale. E’ inoltre Presidente di i2 capital SGR società di gestione del fondo chiuso i2 capital partners. Già direttore generale di Arca Merchant, poi commissario Consob e quindi amministratore delegato di CENTROBANCA., riveste attualmente l’incarico di amministratore indipendente di due società quotate allo Star, Interpump Group e Sabaf. Rappresenta l’Italia, su designazione della Consob, nel Market Participants Consultative Panel che assiste il CESR – Committee of European Securities Regulators – nelle misure di attuazione delle direttive dell’Unione Europea. E’ editorialista del Corriere della Sera dal 1994.
Leggi anche: Ricapitalizzazione delle banche: non sparate sull’Eba , Marco Onado e Andrea Resti (15.12.2011)