di Federica Colonna
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«A volte la follia sembra l’unica via per la felicità». Come è d’antan Morgan, mentre scrive con cura le parole di Altrove. Affascinante, un po’ maledetto, schizofrenico quanto basta a farsi dire sempre sì. Più alla moda della griffe di grido, così bravo a mescolare romanticismo dal sapore antico e un certo vibrante giovanilismo in grado di resistere alla carta di identità. Insomma, Marco Castoldi è un figo. Un figo vero, mezzo maledetto, mezzo mainstream. E ora, come capita ai veri duri, è pronto a mettere alla prova tutte le proprie abilità, confrontandole con quelle dell’anti-figo per eccellenza. L’uomo con le sopracciglia spesse come lo spazzolone per pulire il pavimento, quello che «per piacervi mi epilerei tutto il santo giorno, come le balle di un attore porno». Eccoli allora, l’uno di fronte all’altro: Elio delle Storie Tese e Morgan dei Bluvertigo d’un tempo, insieme, nemici-amici come in un cartone della Disney, fratelli coltelli come un titolo di Giorgio Bocca.
Gli autori di X Factor, veri strateghi della passione televisiva, hanno scovato i due talenti dell’anticonformismo super-pop e hanno avuto il colpo di genio: farli sedere vicino vicino al tavolone dei severissimi giudici della trasmissione, per vederli vibrare di incontinente pseudo-rivalità. Perché Morgan e Elio, oltre ad essere i vincitori indiscussi delle precedenti edizioni del programma, incarnano due storie parallele, due antropologie opposte ma in grado, contemporaneamente, di appiccicare come mosche allo schermo i telespettatori più esigenti, più alternativi. Quelli che guardano un talent show solo perché se Gramsci fosse ancora vivo oggi farebbe lo stesso, mica per piacere personale, ma per capire come va il mondo. E stavolta va in due diverse direzioni, secondo le traiettorie del viaggio dei due eroi.
Ciascuno dei due è infatti il perfetto protagonista di un romanzo contemporaneo. L’incipit del racconto è l’investitura come giudice. Grazie alle proprie competenze e alla storia personale sia Morgan che Elio ricevono una missione, vincere, per realizzare la quale devono superare le formidabili prove delle puntate. Lungo il percorso, oltre ad allenare squadre diverse, ognuno di loro ha un compito ulteriore: rappresentare un mondo di valori, reso tangibile dal modo di vestire, di comportarsi e atteggiarsi, dalla scelta delle canzoni, dalle frasi pronunciate e dalle strategie praticate nel corso di X Factor. Entrambi, Morgan e Elio, sono dotati di competenze distinte e le dimostrano volta per volta diventando così protagonisti di visioni diverse non solo della musica, loro arte e professione, ma anche della società. Ognuno è un’idea di mondo. Per la quale i telespettatori, come per una squadra di calcio, fanno il tifo, appassionandosi.
L’antropologia dell’eroe “morganiano” è evidente pure nel modo in cui sistema i capelli. Se li stira tutti di lato con fare civettuolo, come fosse un dandy contemporaneo, il Dorian Gray de noantri. Non sta lì a lavorare, ma a esprimersi, perché lui è un artista. Parla allora di poesia, non giudica i partecipanti al talent show solo per le doti canore, ma perché li sente dentro, prova emozioni, si lascia coinvolgere. La sua più grande dote è la capacità di cogliere l’anima struggente della musica. E allora si infervora quando Elio parla di credibilità dei cantanti, come fossero prodotti, oggetti industriali. Si infastidisce quando l’altro insiste sull’intonazione, perché è un fatto tecnico. Si può essere intonati ma eseguire un compitino senza far vibrare l’aria intorno di passione. Fanno il tifo per Morgan tutti quelli che vorrebbero essere come lui: glam ma non troppo, colti ma non professorali, romantici e iper-contemporanei, come dimostra l’iPad che si porta dietro come un feticcio, forse perché sta bene sugli abiti nero-maledetto che indossa. Morgan è l’eroe emotivo in grado di suscitare passioni contrapposte perché incarna un ossimoro: antico-nuovo, repentino nei cambi d’umore, allegro-rabbuiato.
L’opposto di Elio. Li unisce solo la fama di alternativi, anche se a cosa non è chiarissimo. Elio infatti dimostra una grande calma da composto giudice, una severissima precisione: prende con dedizione il proprio compito, lavora come se fosse un artigiano della musica, di cui conosce ogni aspetto tecnico, ogni meccanica costruzione. Sorprende ma non per gesti plateali, roba da avanspettacolo. Lo fa, invece, perché non agisce secondo uno stereotipo: il cantante comico non è il comico. A differenza dei testi delle proprie canzoni non è mai sopra le righe nei toni e nelle frasi da professionista che pronuncia. Solo le parrucche lo rendono uomo di spettacolo, ma come se volesse prendere in giro il varietà. Ogni sera si traveste e proprio con la maschera svela il senso della trasmissione: uno show, un circo divertente, un po’ come quelli d’epoca vittoriana in cui sfilano personaggi diversi tutti intenti a fare mostra di sé. I giudizi di Elio sono sempre sintetici, lapidari, mai eccessivi. Perché lui è l’eroe di testa, la sua competenza è la pacata ragione.
Morgan è il cuore, Elio il cervello. Con una metafora politica si potrebbe dire: Morgan è Nichi Vendola, Elio è Mario Monti. Il primo antepone il saper emozionare, il secondo il saper fare. Scegliere con chi stare, votandoli, significa aderire a un sistema di valori, prediligere una proiezione precisa di se stessi.
Poi, come è ovvio, i due rivali vanno a cena insieme e si danno una pacca sulle spalle o per fare gli amiconi proprio sul sedere. Perché lo sanno: l’uno senza l’altro regge poco, è dal contrasto che emerge un colore, dal confronto che viene fuori un carattere. Insieme sono completi. Yin e Yang della tv italiana.