Comprare le persone per quello che valgono e rivenderle per quello che credono di valere costituirebbe il più grande affare della storia, ironizzava qualcuno. Ho pensato questo quando ho letto sui giornali le sorprendenti affermazioni del presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, che, per nulla imbarazzato dal fatto di risultare -con gli oltre 15.000 euro di emolumento mensile- il Presidente di regione più pagato d’Italia (molto più di quello della ricca e popolosa Lombardia, tanto per fare un paragone) ritiene, “per quello che lavora”, di essere persino sottopagato!
Pensare che quello di amministratore pubblico sia un servizio (temporaneo) e, magari, un onore più che un mestiere è davvero difficile da far passare nella testa dei politici! L’equiparazione degli “onorevoli” siciliani ai senatori deriva da una norma transitoria del dopoguerra e, come è noto, non vi è nulla di più duraturo di una norma transitoria, specie quando consenta di perpetuare un privilegio.
La Regione Siciliana non è nuova a queste prodigalità. Tempo fa fece scalpore il super emolumento (460.000 euro) del burocrate Felice Crosta, designato all’emergenza rifiuti, cui seguì una pensione da 1.363 euro al giorno che provocò un opportuno ripensamento della Corte dei Conti che pure, in un primo tempo, ne aveva riconosciuta la legittimità.
Come si fa allora a stimare il valore economico di un pubblico amministratore? In teoria un modo oggettivo ci sarebbe: farli selezionare e valutare dai cacciatori di teste, come è prassi nelle grandi aziende del settore privato, specie se quotate e col dovere quindi di rispondere di determinate scelte e costi a tutti gli azionisti. E’ inutile sottolineare che quando certi amministratori pubblici hanno lasciato incarichi superpagati gli head hunter non hanno certo sgomitato per contenderseli! Prova che non erano certo le competenze o le capacità a determinare scelte e compensi, ma altre motivazioni di ordine politico, non sempre confessabili. Si dice comunemente che bisogna valutare la spesa pubblica secondo il parametro costi-benefici (a differenza di quello privatistico dei costi-ricavi).
Vivo in Sicilia e mi guardo un attimo intorno: se la gestione attuale della mobilità, quella dei rifiuti, la qualità dei servizi, la gestione dei beni culturali, ecc. sono i “benefici” di cui godiamo grazie all’uso delle risorse pubbliche fatte dai nostri amministratori, posso affermare, senza temere smentite, che il “costo” sia decisamente esagerato?
Penso poi agli 80 milioni di euro pagati al socio privato per il censimento del patrimonio immobiliare regionale, alla svendita dei gioielli immobiliari nella naufragata operazione di valorizzazione attraverso un fondo immobiliare, alla polverizzazione di centinaia di milioni della partecipazione in Unicredit, ai 257 milioni che la Regione rischia di pagare per incaute operazioni su derivati, ai 30 milioni andati persi in investimenti finanziari della Provincia di Palermo, ai soldi buttati nella soap Agrodolce, ecc. e mi chiedo se non sia giunto il momento, più che di continuare a pagare, di chiedere semmai i danni!
Per tutti questi motivi ritengo che l’iniziativa promossa dal Movimento 5 Stelle e dai 10.000 siciliani che hanno firmato la petizione “Fuori i soldi dalla politica“, con la coerenza di chi per primo ha rinunciato ai contributi elettorali e si è autoridotto gli emolumenti, sia da appoggiare e sostenere con convinzione soprattutto ora che è protocollata all’Assemblea regionale Siciliana, per far sì che la crisi che viviamo serva almeno a moralizzare e a portare a ragionevolezza certe pretese economiche decisamente anacronistiche.
Dedicarsi alla politica dovrebbe essere un sacrificio, anche economico, che induca a voler tornare al più presto alla propria onesta occupazione nella società: nessuno deve pensare di “sistemarsi” nella politica, nè tantomeno sentirsi insostituibile!
All’Ars tagli da 4 milioni e mezzo (21/12/2011)