Stavano per compiere qualcosa di grosso, un “gravissimo incidente”, contro un imprenditore di Aosta che non voleva pagare il pizzo, ma sono stati fermati in tempo. Quattro uomini ritenuti legati alla ‘ndrangheta, Giuseppe Facchinieri, Giuseppe Chemi, Roberto Raffa e Michele Raso, sono stati incarcerati con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nell’operazione “Tempus venit”, condotta dai carabinieri di Aosta coordinati dalla Procura di Aosta e dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino. Facchinieri, 51 anni, è un esponente di spicco della ‘ndrina dei Facchineri, giunta in Valle d’Aosta per il soggiorno obbligato di uno dei capi e ancora alla ricerca di un radicamento nel tessuto economico, dopo la faida che negli anni Novanta portò alla morte o in carcere alcuni suoi appartenenti.
“Ti diamo tempo fino al prossimo 20 dicembre – avevano scritto Facchinieri, Chemi e Raffa nell’ultima lettera indirizzata al costruttore Giuseppe Tropiano -. Da quella data in poi tu e tutti i tuoi prossimi, congiunti, figli, fratelli e nipoti dovete fare molta attenzione perché può capitarvi qualche gravissimo incidente”. Per questo motivo i carabinieri guidati da Guido Di Vita e Cesare Lenti hanno agito per tempo: “Se non fossimo intervenuti Tropiano sarebbe andato incontro a morte certa”, ha detto Di Vita, che vanta due anni d’esperienza come capo del Ros a Reggio Calabria.
Dal maggio scorso il costruttore, originario di San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria) come Raffa e Raso, era taglieggiato da Facchinieri, che gli chiedeva il 3% per di un grosso appalto da 30 milioni di euro circa, quello per la realizzazione di case e parcheggi nell’ex residence Mont Blanc. Facchinieri stava rimettendo in piedi la sua attività criminale dopo essere uscito dal carcere il 12 febbraio 2010, alla fine di una condanna per omicidio e reati di mafia. Da maggio, insieme ai cognati Chiemi, 51 anni, e Raffa, 36 anni, ha inviato quattro lettere con minacce esplicite. “Voi vi fate i vostri guadagni con le vostre amicizie politiche locali e anche noi ci guadagniamo qualche cosina”, scrivevano nella prima lettera. La seconda era stata recapitata con due proiettili: “I pallettoni quando arrivano non chiedono permesso a nessuno (…). A lei sta a portare il valore della sua esistenza all’equivalente di due sigarette Marlboro”.
Come aveva già fatto in altre occasioni simili, Tropiano ha chiesto aiuto ai fratelli Raso, che i pm descrivono come “personaggi di notevole spessore e caratura criminale” e “legati alla criminalità mafiosa di origine calabrese”. Ad agosto, in Calabria, Michele Raso e il fratello Salvatore (ucciso il 17 settembre in un agguato mafioso, col tipico ultimo colpo sparato in bocca) hanno tentato una mediazione Facchinieri e Chemi, ma la trattativa non era andata in porto, al punto che il 20 agosto qualcuno ha sparato contro la casa del fratello di Tropiano a San Giorgio Morgeto.
Solo dopo questo episodio l’imprenditore ha deciso di sporgere denuncia, omettendo però il particolare delle lettere, rinvenute durante una perquisizione della Guardia di Finanza. Poi, il 6 dicembre scorso, i carabinieri hanno intercettato all’ufficio postale l’ultima lettera partita da Bologna, provincia in cui Facchinieri e Chemi risiedono: “Se vuoi pagare devi affissare dei cartelli ‘Si vende’ nella casa dei tuoi fratelli dove hanno sparato le finestre giù in Calabria – è il sistema che Tropiano avrebbe dovuto adottare – Dovrai specificare il prezzo della vendita della casa ossia 100, che equivale a un milione di euro. Inoltre ti diamo un’altra possibilità. Ammettiamo che non hai subito tutto il milione ma ne hai 700, sui cartelli metti che si vende per 70 mila euro”.
Se non l’avesse fatto il 20 dicembre ci sarebbe stato il “gravissimo incidente” verso uno dei familiari. Nell’ambito dell’inchiesta è stata portata alla luce anche la tentata estorsione a un altro imprenditore edile, Luigi Monteleone, un calabrese residente ad Aosta con attività nell’ambito del restauro archeologico. Raffa, in accordo con Chemi e Facchinieri, aveva ordinato a degli emissari di incendiare la scavatrice della ditta l’11 settembre scorso: “Ascolti un attimo. Io vi volevo chiedere, se voi volete lavorare da adesso in poi dovete pagare, avete capito?”, gli avevano intimato al telefono sei giorni dopo.
L’indagine, fanno sapere il procuratore capo di Aosta Marilinda Mineccia e il capo della Dda torinese Sandro Ausiello, prosegue con la speranza di portare alla luce altre estorsioni non denunciate.