Non è vero che a Natale si diventa buoni. Nelle mie riunioni pre-festive si discute peggio del solito. Monti, IMU, siamo sull’orlo del disastro, non è vero che solo i poveri, lotta all’evasione, Marchionne, Fiom, Fiat.
Poi: “Non c’è solo Fiat; lo sapete che chiudono Sigma Tau?”. È mia sorella, capo della ricerca di ST, in pensione da qualche anno. Claudio Cavazza, padrone di ST, è morto. Gli eredi hanno messo in liquidazione due società del gruppo, Prassis e Tecnogen, che fanno ricerca: 100 ricercatori perderanno il posto di lavoro; e hanno chiesto cassa integrazione a 0 ore per 569 lavoratori di ST. “Siamo gli unici che fanno ricerca: tumori, malaria. L’azienda è sana; ma loro fanno i furbi e presentano solo il risultato di Sigma Tau; e il gruppo, Avantgarde, Biofutura? Quelli guadagnano. Vogliono vendere, tutto qui. Licenziano, poi qualcuno comprerà e la farà a pezzi. E ai dipendenti chi ci pensa?”. Mia sorella è furibonda. Tutti d’accordo con lei. Io provo a interloquire. “Il problema è che ST è loro; non tua; e nemmeno dello Stato. Che vogliano vendere perché l’azienda non produce o per fare soldi, non ci si può fare nulla. Se ST non fa profitti, come li pagano gli stipendi? Certo, per un pò possono attingere al tesoro di famiglia, impoverirsi per chi ha lavorato per loro tanti anni. Ma, quando saranno poveri anche loro? Nessuna azienda può vivere se non è in attivo. Quanto al fatto che forse vogliono vendere per godersi la vita, irresponsabile che sia, non puoi obbligarli a essere diversi. E se anche sono incapaci ST sempre loro è, la gestiscono come sanno. Se va male, la chiudono”.
“Ma lo Stato deve intervenire…” “Eh no; questa è economia assistita e non funziona. Chi dovrebbe pagare i salari ai dipendenti di un’azienda che non produce profitti? E chi paga la cassa integrazione? E per quanto tempo? E con quali soldi? Ci state a pagare più tasse per mantenere i dipendenti di aziende che non riescono a stare sul mercato?” “Ma ST ci riuscirebbe benissimo. Sono incapaci e comunque se ne fregano”.
E qui cominciamo a parlare sul serio. “Avete mai sentito parlare di leverage buy out? È una cosa inventata in America, proprio per casi come questo. I proprietari vogliono vendere. Hanno bisogno di soldi, sono incapaci, non hanno più voglia. Non è importante; l’azienda è loro e la vogliono vendere. Però: l’azienda è sana, assicura profitti. E chi la manda avanti così bene? I dipendenti. L’azienda sta in piedi per loro. Potrebbe continuare a stare in piedi anche senza i padroni; anzi starebbe meglio perché i soldi che si prendono i padroni potrebbero essere reinvestiti. I padroni vogliono vendere? Ok, ce la compriamo noi lavoratori”. “Eh già, e con quali soldi!? Ci vanno miliardi”. “Qui sta il bello. I lavoratori costituiscono una società; si chiama, in gergo, new company. Poi questa società chiede un prestito alle banche…”. “Ma figurati, chi glielo dà? E che danno in garanzia?” “Gli danno in pegno le azioni della società che vogliono comprare: la – sempre in gergo – old company. Va bene, produce profitti. Ogni anno, con quello che guadagna (al netto – si capisce – dei salari) una parte del debito è ripagato.
A un certo punto le due società, la new company e la old company si fondono e i lavoratori diventano proprietari dell’azienda; nessuno ha perso il posto di lavoro, i vecchi proprietari si sono presi i loro soldi e tutti sono contenti”. “Dici sul serio? Si può fare?” “Sì che si può fare. Naturalmente ci sono alcuni problemi tipicamente italiani…” “Vedete, appena la cosa è stata scoperta in Italia, subito si è trovato il modo sbagliato di utilizzarla. Non sono stati i lavoratori a comprare le aziende, ma i “capitani coraggiosi” (D’Alema dixit), gente che, invece di rischiare soldi suoi, si faceva raccomandare dai politici; le banche gli prestavano soldi e loro si compravano megasocietà. Non proprio nello spirito del leverage”. “Sì, ma in questo momento le banche non prestano soldi a nessuno”. “Vero. Qui sì che potrebbe intervenire il governo. Crediti agevolati per i leverage ‘ veri’, facilitazioni fiscali. Insomma, invece di chiedere sovvenzioni ‘ per salvare il posto di lavoro’, chiedete credito e il posto di lavoro ve lo salvate da soli. È finita così così: mia sorella è rimasta zitta (miracolo) a pensare. E un paio di persone mi hanno detto che ero uno schifoso fascista.
Il Fatto Quotidiano, 22 Dicembre 2011