Malloreddus o agnolotti, brodo di cardone o minestra maritata, puntarelle o insalata di rinforzo? Da nord a Sud, da Est a Ovest, i piatti della nostra penisola legati alla tradizione natalizia sono tanti e fortemente simbolici.
Le consuetudini sono diverse, come i piatti presenti in tavola, e non solo tra una regione e l’altra d’Italia, ma persino nello stesso paese. Eppure, nonostante le differenze, c’è sempre qualcosa che accomuna un po’ tutti.
Se non in tutta Italia si festeggia la Vigilia di Natale con lauta cena, la tombola con i fagioli o le bucce di mandarino sembrano essere appannaggio di molti. Se il pesce (vero, conservato o finto che sia) è il principe della cena o cenone del 24, il brodo, soprattutto di gallina, regna sovrano in molti pranzi di Natale. Quasi ovunque è presente la frutta secca, come le verdure di stagione, preparate nei modi più variegati. I dolci non si contano, ogni paese ha il suo mentre i piatti più popolari, senza i quali non sarebbe Natale, sono quasi per tutti quelli provenienti da una “cucina povera” che magicamente, in onore delle Sante Festività, diventa un concentrato di calorie per essere più nutriente.
Alcuni amici si sono gentilmente prestati a raccontarci il loro Natale e, con la debita premessa che ogni famiglia ha la sua tradizione, grazie alle loro golose e personalissime testimonianze, abbiamo provato a ripercorrere una piccola fetta del nostro stivale.
Se in Piemonte non è Natale senza agnolotti (specialità di pasta ripiena di carne tipica del Monferrato, ma presente in tutta la regione), in Valtellina non può mancare il cappone in brodo o la faraona arrosto e il panettone valtellinese (un concentrato di calorie con poca pasta e molta
uvetta, fichi e noci).
A Verona e nel gardese il cenone della Vigilia si imbandisce solo nelle case “miste”, quelle con una giusta percentuale di meridionali, ma per il pranzo di Natale non mancherà il lesso con la pearà, salsa realizzata con pane grattugiato, parmigiano o grana, midollo di bue, burro, brodo di carne e abbondante pepe, che è tradizionalmente accompagnata al bollito misto, detto anche lesso. E se pandori e panettoni hanno soppiantato il tradizionale nadalìn, il vaporoso e leggero panettone veronese modellato a forma di stella, un po’ gonfio nel centro, alcuni forni della zona (come alcune famiglie) continuano a regalarlo ai propri clienti.
A Modena, strano a pensarsi, si mangia pesce, ma solo conservato. Gli spaghetti con tonno, sgombro, acciughe e pomodoro (tutto in scatola) non devono mai mancare, ma nemmeno le frittelle di baccalà e il baccalà in umido con polenta, ma soprattutto le stortine, buone quanto indigeribili anguille cotte alla brace e marinate in aceto che, una volta messe in scatola diventano tutte storte, da cui il nome.
A Roma, dove la Vigilia è sacra (almeno per alcuni) come la messa di mezzanotte e la tombola con i fagioli non può mancare la minestra di pesce e tra le tante, la più nota è sicuramente la pasta e broccoli in brodo di arzilla. Spesso presenti gli spaghetti “co’ l’alice”, il capitone, l’anguilla fritta o in carpione e l’insalata di puntarelle (ben ghiacciate, condite all’ultimo momento – altrimenti “s’ammosciano” – con olio, aglio e filetti di acciuga dissalata), il torrone, la nociata, la pignoccata, il pangiallo e il pampepato e ovviamente la frutta secca.
In Sardegna, per il pranzo di Natale si consumano un numero consistente di antipasti: carciofi con la bottarga, coratella di agnello (fegato, cuore e paracuore), la “cordula” (intestino di agnello avvolto su se stesso e cotto in tegame, assoluto o con i piselli) e tanti altri. Tra i secondi di carne spiccano agnello e porcetto al forno. Ma tra tutti, il piatto più popolare rimangono i malloreddus piccoli gnocchi di semola, molto ruvidi al tatto e dalle varie forme, lunghi, larghi e con mille nomi a seconda del paese.
A Guardiagrele, in provincia di Chieti la portata principale del pranzo di Natale è un brodo di gallina detto “di cardone”, con cardo ridotto a pezzi e pallottoline piccole piccole di carne macinata, cubetti di pizza di mais e uovo battuto in mezzo al brodo.
A Napoli, per il cenone della Vigilia, protagonista assoluto è il pesce: frittelle di baccalà e baccalà fritto, spaghetti “a vongole”, frittura mista, pesce al forno e capitone. Sempre presenti i broccoli di Natale, chiamati in gergo “piere ‘e vruoccole”, ma guai se manca “l’insalata di rinforzo”, cavolfiore lesso, insaporito da alici salate, olive e “papaccelle napoletane” ( peperoni conservati nell’aceto).
In Puglia non mancheranno le pettole o pittule, frittelle di pasta lievitata, arricchite di pomodoro, capperi, olive o ricotta, salame, baccalà e lampascioni.
In Calabria, dove tradizione vuole che si mangi pesce per il cenone della Vigilia, in alcuni paesi pare che le pietanze in tavola debbano essere tredici. Il peperoncino, ovviamente, non manca mai, come sugli spaghetti con mollica di pane e alici. I dolci, tanti, sono solitamente i turdilli o cannaricoli, gnocchi di pasta fritti e passati nel mosto cotto e nel miele; le scaliddre (dolce “accompagnato” da glassa zuccherata o cioccolato fondente) e la pitta ‘mpigliata.
A Palermo, lo sfincione (pizza tipica a base di cipolla) si mangia anche a Natale insieme ai cardi in pastella e alla gallina in brodo, l’”agglassato” di carne (pezzo di manzo stracotto nelle cipolle la cui riduzione poi viene frullata ed usata per nappare le fette di carne o per condire la pasta), l’insalata di arance con aringa e, naturalmente, i mille dolci, buccellati, cassate e cannoli, mustazzoli con mandorle e cannella e la cubbaita, un torrone di miele con nocciole e mandorle o pistacchi.
Malloreddus con salsiccia di Gianluca Putzolu
Questo sugo non deve essere troppo tirato, lo si prepara, infatti, soffriggendo la cipolla e piccoli tocchi di salsiccia sarda che in genere è leggermente aromatizzata con finocchio selvatico e vino rosso. Una volta lessati, i malloreddus vengono fatti saltare nel sugo aggiungendo un po’ d’acqua di cottura in cui sono stati sciolti un paio di pistilli di zafferano (possibilmente di San Gavino Monreale, nel campidano pianura sarda tra Oristano e Cagliari).
Spaghetti con la mollica e le alici di Anna Leone
In un pentolino si fa sciogliere in un po’ di olio extra vergine con 2 spicchi di aglio e le alici sotto sale precedentemente dissalate in acqua. Nel frattempo si fa tostare la mollica di pane e il pane grattugiato, in forno o in padella. Gli spaghetti, cotti al dente vengono così conditi con l’olio in cui sono state sciolte le alici, con la mollica di pane e il pane grattugiato oltre, naturalmente, al peperoncino.
Si ringraziano, in rigoroso ordine alfabetico, Claudia Camillo, Stefania D’Urso, Salvatore Di Carluccio, Giovanni Gagliardi, Paola Giagulli, Vittoria Iacovella, Anna Leone, Filippo Marchi, Giancarlo Marino, Cecilia Naldoni Piccin, Isabella Pelizzatti Perego e Gianluca Putzolu, senza i quali questo pezzo non avrebbe visto la luce.
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Buon Natale a tutti!