L'internauta è diventato il simbolo della protesta per le irregolarità del voto che ha portato alla risicata vittoria del partito di Putin. Dal 2008 dalle colonne del suo sito denuncia corruzione e malaffare
“Sono entrato in prigione in un paese e sono uscito in un altro”, ha detto il blogger ai giornalisti presenti prima di annunciare la propria presenza nella manifestazione di protesta convocata per sabato 24 dicembre a Mosca.
Navalny, 35 anni, padre di due bambini, è salito alla ribalta della scena politica russa grazie alla sua attività di blogger, iniziata nel 2008. Nazionalista, ha iniziato a denunciare la corruzione nella gestione di alcuni dei colossi dell’industria russa, come i giganti del settore energetico quali Gazprom, Transneft e Rosneft, fino alla banca Vtb. Il suo blog, che oggi ha circa 60 mila lettori regolari, è diventato quello che lui stesso ha definito una “macchina per le denunce di massa”. La sua idea vincente è stata quella di mobilitare i lettori e invitarli a scrivere alle autorità per indagare i casi di corruzione e cattiva gestione che lui segnalava sul suo blog. Nel caso della Transneft, per esempio, dalle sue denunce per la gestione fallimentare di 3 miliardi di euro è nato un caso che è stato ampiamente ripreso dalla stampa russa. Altrettanta eco ebbe il caso di un dirigente della casa automobilistica tedesca Daimler che ammise di aver pagato tangenti a funzionari pubblici russi.
Nel 2011 c’è stato un altro salto di qualità, con la fondazione del sito Rospil.info, il cui obiettivo dichiarato è rintracciare e denunciare i casi di corruzione nella gestione degli appalti statali. Rospil in pochi mesi di attività ha presentato una settantina di denunce alle autorità antitrust russe, che in 39 casi le hanno giudicate ammissibili e hanno aperto procedure di indagine. Le sue azioni di cyberattivista si sono moltiplicate nelle settimane precedenti il voto di quest’anno, a cui Navalny ha invitato a partecipare per scegliere “chiunque tranne Russia Unita”. La sua definizione preferita del partito di Putin e del suo delfino Dimitri Medvedev, “un partito di truffatori e ladri”, è stata riprese e amplificata dagli utenti della Rete, oltre che dal partito Russia Giusta (centrosinistra) che ne ha fatto uno dei slogan elettorali.
Alla durezza verbale, però, Navalny unisce una notevole dose di cautela nelle forme della protesta: “Per fare andare via Putin, dobbiamo far avanzare le nostre richieste che sono completamente legali – ha detto nella conferenza stampa improvvisata davanti al commissariato – Il popolo deve dimostrare di avere il potere e così non avremo bisogno di rompere vetrine o fare altre cose del genere”.
E dopo la batosta subita da Russia Unita alle ultime elezioni, in cui la formazione di Putin-Medvedev ha perso il 15 per cento dei consensi ed è scesa appena sotto il 50 per cento, Navalny ha rilanciato la sfida per le elezioni presidenziali, previste per il prossimo 4 marzo. Elezioni che vedranno di nuovo zar Vladimir in corsa per il posto più alto del Cremlino, visto che, grazie alla staffetta con Medvedev (che tornerà a fare il primo ministro), Putin ha aggirato il divieto costituzionale di tre mandati presidenziali consecutivi. “Il 4 marzo non ci saranno elezioni presidenziali nel vero senso della parola – ha detto Navalny – Perciò non è molto sensato andare a votare, dobbiamo però dimostrare di essere la maggioranza, una maggioranza che è in grado di spaventarli. La loro paura si sente”.
Sabato 24 ci saranno manifestazioni di protesta sia a Mosca che a San Pietroburgo che in altre città della Russia. Nella Capitale, la polizia si aspetta un corteo con almeno 50 mila persone. Un record assoluto, se così sarà, per la Russia degli ultimi anni. Un paese che, come ha scritto di recente l’Economist, “non è stabile, è rigido”. Non così rigido, però, nonostante la presa del judoka Putin, da riuscire a contenere facilmente la pressione che sale da una società che si è svegliata dopo il trauma letargico del crollo dell’Unione sovietica e – come scrive il giornalista Maxim Trudolubov – ed è ora alla ricerca di una nuova identità fuori dal progetto putiniano.
di Joseph Zarlingo