Il diavolo, si sa, è nei dettagli. E questa volta proprio di “diavolo” parliamo (ovvero di pornografia), almeno nella prospettiva della Chiesa cattolica che ha sentito il bisogno di affidare al portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, una smentita ufficiale. Dal 6 dicembre, infatti, sono disponibili a livello globale siti con dominio .xxx.
Il dominio, pensato appositamente per siti di carattere pornografico, è stato approvato ufficialmente lo scorso marzo dall’Icann (l’ente internazionale preposto a regolare i domini), e a breve partiranno i primi siti. Il problema però è che con il nuovo dominio qualsiasi indirizzo web risulta, in un certo senso, di nuovo a disposizione. È questo il caso, per esempio, di Vatican.xxx, registrato da una società anonima: ci sono pochi dubbi su che tipo di contenuti si appresta a pubblicare e la prospettiva di un porno-portale con un nome che è molto simile a quello di riferimento della Chiesa cattolica imbarazza non poco il Vaticano.
Inizialmente si era diffusa la notizia che a comprare il dominio fosse stato lo stesso ufficio stampa vaticano per tutelarsi contro usi impropri, ma è stato lo stesso Lombardi a smentire: “Non risponde al vero – ha dichiarato il gesuita – la notizia che il Vaticano avrebbe acquistato il dominio internet ‘Vatican.xxx’ per proteggersi da usi impropri, dato che l’identificativo ‘xxx’ riguarda siti per adulti. In realtà – ha aggiunto – tale dominio risulta non disponibile, perciò effettivamente acquistato da qualcuno, ma non dal Vaticano. Non risulta che tale dominio sia stato acquistato dalla Santa Sede o da organismi che facciano capo a essa”.
Come andrà a finire lo capiremo nei prossimi giorni. Ma il problema che deve affrontare il Vaticano riguarda praticamente ogni azienda, personalità, politico, starlette, pop-star o canale televisivo che potrebbe trovarsi un dominio pornografico “clone” rispetto a quello ufficiale. Probabilmente i rispettivi interessati potrebbero non gradire che sul web compaia un sito www.berlusconi. xxx; o www.ladygaga.xxx; o www.microsoft.xxx e via porneggiando. Il rischio è concreto: finora sono stati venduti 80 mila domini a tripla X e aziende come Pepsi e Nike si sono già messe al sicuro comprando l’equivalente del loro dominio.
Fin dall’inizio l’idea del dominio a luci rosse si è dimostrata poco efficace. É stata osteggiata infatti, prima di tutto dall’industria hard che teme future censure in blocco e di perdere la possibilità di attirare visitatori che inciampano sulle sue pagine casualmente. Su Vatican.xxx ancora non c’è alcun contenuto. Solo una scritta: “Il sito è stato registrato”. Che potrebbe tradursi in un brutto regalo di Natale per la Chiesa cattolica.
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Il Fatto Quotidiano, 23 dicembre 2011