L'erede reggiano di Tomba, dopo un brillante secondo posto sulla Gran Risa in val Badia e l'uscita di scena sulla pista di Flachau: "Se mi faccio male ho finito di guadagnare, la mia carriera finisce, così come se non si ottengono risultati si fa fatica con gli sponsor non si può andare avanti. Più precario di così non si può"
Giuliano Razzoli non si nega a nessuna intervista, parla bene anche se è girato male, e ricorda sempre suo padre, che fa il meccanico, e che per lui ha lavorato una vita. É un tipo tranquillo l’erede di Alberto Tomba, e anche se sulle tribune di Coppa del mondo raduna centinaia di tesserati al Razzo Fan Club che agitano bandiere blu, lui non si agita e dopo un infortunio alla spalla che faceva pensare a un lento recupero, regala a tutti un buon inizio di stagione per lo sci italiano.
Il primo risultato della stagione, dopo un brutto infortunio alla spalla, sotto gli occhi di Alberto Tomba. Come ha commentato questo secondo posto?
Ah, niente, lui si diverte sempre a vedere le gare, in una nuova veste, al traguardo. Mi ha fatto i complimenti, era felice per me. Comunque la spalla mi fa ancora male, ho sciato bene e mi sono fatto un bellissimo regalo di compleanno, un bell’incoraggiamento a continuare così la stagione, ci voleva proprio.
Cosa la lega ad Alberto?
Beh siamo due emiliani doc, ci accomuna la nostra terra, le nostre montagne, anche se insieme non abbiamo mai sciato; se ci vediamo a casa ci vediamo per una cena. Lui è stato un grande campione, io lo seguivo sempre quando ero bambino, lo guardavo in televisione. Ma di persona l’ho conosciuto solo quando ho esordito in Coppa del mondo, e poi a Vancouver dove lui commentava per Sky Sport e si è commosso per la mia vittoria. Ogni tanto mi segue in qualche gara, è un amico adesso, mi manda i messaggini, mi scrive “Veloce feroce”, e tutte queste frasi con le rime…
Un oro olimpico che le ha portato un grande successo e una grande responsabilità, come la vive?
La vivo bene, direi che l’oro olimpico è il sogno di tutti gli sportivi, di più non si può. Vancouver è stata la mia grande gara, l’avevo preparata bene, era l’obiettivo, sono riuscito a fare due manche bellissime, e ho vinto. Questa vittoria mi ha dato moltissimo, me la sono sudata, è stata la ricompensa ai sacrifici di mio babbo che per investire su di me ha lavorato ininterrottamente in officina 14 ore al giorno sabato e domeniche comprese da quando ho nove anni. Ma anche io è da quando ho nove anni che mi faccio il mazzo…
Dagli anni di Tomba com’è cambiato lo sci?
Lo sci è cambiato moltissimo, soprattutto sono cambiati i materiali, che sono più leggeri, più veloci, sempre più tecnici, sia in slalom sia nelle altre discipline. Per il resto nulla, gli atleti non devono sbagliare mai, devono essere in forma e avere il pieno controllo di tutto. Un po’ è diminuito il pubblico dello sci e degli sport invernali, ma la colpa non è dello sport che è cambiato, lo sport è rimasto lo stesso. É semplicemente calata la visibilità che ci danno i media, la Coppa del mondo non la pubblicizzano come il campionato di calcio, per esempio. A parte le Olimpiadi, non c’è la stessa pubblicità, la stessa visibilità che è sempre garantita agli sport “maggiori”. Ma la gente ci ama come ai tempi di Tomba, chi ci segue lo fa comunque, è in tribuna, all’arrivo.
Nonostante la nevicata di oggi, è stata una stagione che ha tardato a decollare sul nostro Appennino: poca neve al Monte Cimone, Corno alle scale, comprensori che non aprono…
Sì la stagione è un po’ in ritardo, ma con la neve di Natale le vacanze me le faccio tranquillo, allenandomi sulle piste del Cerreto, le mie piste.
Un campione olimpico è informato della situazione economico-politica dell’Italia?
Fino a una settimana fa sì, guardavo i tg, ma negli ultimi giorni per preparare le gare sono rimasto un po’ indietro. Comunque sono consapevole che l’Italia sta attraversando una crisi difficile. Non sono il Presidente del consiglio, non ho la soluzione, non lo so, ma credo che bisogna stimolare un po’ l’economia e tirarsi su le maniche. Ognuno lo deve fare nel suo ambito, io faccio lo sciatore e lo faccio al meglio per esempio, mi metto la tutina blu dell’Italia e cerco di far fare all’Italia più bella figura che posso.
La senti la crisi, ti senti un po’ precario?
Io sono precario certo. É uno sport incredibilmente precario lo sci, se mi faccio male ho finito di guadagnare, la mia carriera finisce, così come se non si ottengono risultati si fa fatica con gli sponsor, non si può andare avanti. É un investimento su di me, più precario di così non si può. E poi io sono fortunato, riesco a mettere via qualcosa, ho lo stipendio dell’Esercito, ho Parmigiano Reggiano che mi sponsorizza dal 2006, Prada che mi da l’abbigliamento, Technogym la palestra, Level i guanti, Brico il casco, Laika, eccetera eccetera. Aver vinto le Olimpiadi mi ha aiutato molto, mi permette di poter pensare al mio futuro. Ma alcuni miei compagni di squadra non possono permettersi tutto questo. Comunque non si sceglie questa carriera per i soldi, nessuno qua ti fa contratti pluriennali e milionari, lo si fa per passione.
Quanto guadagna Giuliano Razzoli dopo le Olimpiadi?
Oddio non lo so, ma che domande sono. Quando avevo la medaglia d’oro al collo pesavo solo che avevo vinto l’oro alle Olimpiadi. Il Coni, dopo Vancouver, mi ha dato 140 mila euro lordi di cui 70 mila sono andati in tasse, non cosi tanti se ci pensi…arrivare fino lì è costato moltissimo.
E poi giri su un’Audi Q7…
Sì, la federazione l’ha data a me e Inne (Christof Innerhofer, n.d.r.). Me l’hanno data mica me la sono comprata…
di Elisa Ravaglia