Lo scorso 7 novembre ha avuto inizio la procedura di valutazione nazionale delle Università e degli Enti Pubblici di Ricerca da parte dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). E’ una iniziativa deliberata da un ex Ministro che non aveva idea né di cosa stesse facendo né del perché lo stesse facendo: una maestrina che avrebbe voluto premiare gli scolari diligenti e punire i somari. E’ vero che in molti paesi si valutano le Università pubbliche e private e che esistono agenzie di valutazione internazionali (ad esempio QS o THE); però in genere l’utente della valutazione è l‘aspirante studente che può scegliere l’università più prestigiosa (se può permettersi di pagarne la retta). Poi anche lo Stato può utilizzare la classificazione per motivi politici, come possono usarla il datore di lavoro (che può preferire il laureato di una università eccellente a quello di una università modesta) o le università stesse, per cercare di migliorare le proprie prestazioni.
In Italia, però l’Università è quasi sempre pubblica ed i suoi costi sono sostenuti per oltre l’80% dallo Stato. Gli studenti pagano tasse relativamente modeste e comunque proporzionali al reddito familiare: chi può permettersi una Università può permettersele tutte. Lo studente, cioè, non è come negli Usa, un cliente che paga e compra, ma un cittadino che usa un servizio. L’Università è pagata in pratica da tutti i cittadini, tanto da quelli che possono permettersi di mandarci i figli, quanto da quelli che non possono permettersi questo lusso; questo è eticamente accettabile perché il fine dell’Università è produrre professionisti che soddisfino le esigenze dei cittadini: medici, giudici, insegnanti, etc. e lo Stato garantisce (dovrebbe garantire) a tutti i cittadini l’accesso ai servizi di questi professionisti.
In questo contesto, che è molto diverso da quello statunitense evidentemente nella mente dell’ex Ministro Gelmini, una valutazione della qualità delle Università da parte dello Stato è eticamente accettabile solo se il suo fine è quello di garantire una qualità media il più possibile elevata e di investire risorse per migliorare quelle sedi che risultassero inadeguate. In pratica lo scopo dovrebbe essere antimeritocratico: innalzare gli ultimi piuttosto che premiare i primi. Invece l’attuale sistema di valutazione ha lo scopo di premiare economicamente i più bravi e punire i meno bravi e, se il candidato abita in una città dove c’è una “cattiva” Università e non può permettersi di trasferirsi altrove, se la deve tenere, mentre con la sua Irpef paga per migliorare le Università degli altri che sono già migliori della sua.