Sidi Bouzid, piccolo paese storicamente ribelle posizionato al centro della Tunisia; qui un anno fa è partita la rivoluzione tunisina, in seguito al gesto di Mohamed Bouazizi, giovane venditore ambulante che si è dato fuoco per protestare contro le vessazioni del potere corrotto.

Per i tunisini di Sidi Bouzid, a differenza di quelli della capitale, il 17 dicembre è la data di nascita della rivoluzione che in molti, soprattutto all’estero, chiamano rivoluzione del 14 gennaio – giorno della cacciata di Ben Alì – o dei gelsomini. Non è un dettaglio: propendere per il 14 gennaio significa mettere al centro il dittatore, scegliere il 17 dicembre vuol dire riconoscere il merito a un uomo-simbolo.

Anche Leena Ben Mhenni, famosa blogger che ha avuto un ruolo da protagonista durante la rivoluzione, riconosce fondamentale il gesto di Mohamed Bouazizi. Lo ha scritto chiaramente nella sua autobiografia, uscita in Italia da qualche giorno, grazie al coraggio della casa editrice Alegre: Tunisian Girl, la rivoluzione vista da un blog.

“Nulla è cambiato – osserva Leena, contattata alla vigilia del premio ‘ Roma per la pace ’ ricevuto giovedìil dittatore non c’è più ma il suo sistema è ancora in piedi, con immensi problemi nel settore della giustizia, e dei media. I primi giorni della rivoluzione speravamo qualcosa cambiasse. Ho anche fatto parte dell’Alta Istanza per la Riforma della comunicazione e dell’informazione; poi mi sono dimessa perchè i capi erano e sono sempre gli stessi.

I giornalisti continuano a denunciare censure da parte dei superiori. E per i social network oggi è peggio di prima. Sotto Ben Alì dovevamo combattere contro la censura, ma noi blogger facevamo un lavoro da veri reporter, andando sul campo a raccogliere informazioni, foto e video da verificare e poi da condividere, aggirando la censura. Eravamo liberi, senza capi, senza le briglie di un’organizzazione politica.

Oggi molti dei blogger attivi durante la rivoluzione sono passati alle dipendenze dei maggiori partiti, soprattutto degli islamisti di Nahdha, che li pagano per fare propaganda. Chi ancora crede nella libertà della blogosfera viene attaccato e discreditato. Una guerra mediatica creata dai partiti. Occorre portare avanti un giornalismo investigativo, che nessuno fa, informarsi e informare. Dobbiamo tornare davanti ai nostri computer a essere tutti cyberattivisti perchè la strada è ancora lunga e l’azione di un blogger non si deve mai fermare”.

Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2011

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