E adesso che il Bocca non c’è più chi saprà trovare le parole che lui sapeva trovare, lucide e dirette, per dare voce all’indignazione di noi cittadini di fronte a ingiustizie e stupidità? Chi saprà esprimere con toni semplici e asciutti lo sdegno davanti ai mali antichi e recenti del nostro Paese? Per lettori e colleghi Giorgio Bocca è stato un punto di riferimento irrinunciabile e necessario, la garanzia di un pessimismo intelligente e illuminato in grado di consolare. Il suo sguardo, schietto e spesso ferito da un paesaggio indecente, ha indagato per oltre mezzo secolo la realtà politica e sociale dell’Italia. In molti hanno definito Bocca “combattente” perché sembrava convinto che la sua professione fosse uno strumento per cambiare il mondo. Amava il mestiere di giornalista con passione e disciplina e, incline alla sintesi, lo definiva così: “Chi lo sceglie lo fa perchè vuole raccontare la verità”.
Bocca diventò un protagonista al Giorno dove arrivò dopo le esperienze alla Gazzetta del Popolo e all’Europeo. Già noto ma non ancora notissimo, fu il maestro del giornalismo d’inchiesta, un genere di giornalismo che negli ultimi tempi considerava “ impossibile, scomparso, ucciso dalla pubblicità che ormai comanda tutta l’informazione”.
Per la prima volta incontrai Bocca proprio al Giorno dove, benchè redattrice debuttante e neoassunta, avevo il compito di“ passare” cioè di rileggere ed eventualmente correggere i refusi dei suoi pezzi tra cui una rubrica settimanale che si intitolava “Fatti nostri”e che mi arrivava su una pagina dattiloscritta fitta di impazienti correzioni a penna, un concentrato di giudizi netti e polemici. Del Giorgio Bocca di allora ricordo la ruvida timidezza da montanaro che si accendeva all’improvviso con lampi di allegria. Mi sembrò, in quegli anni e poi sempre, un giornalista solitario, anzi, solo.
Ci siamo visti l’ultima volta un paio di mesi fa, alla presentazione del filmato e del libro tratti da una sua lunga intervista intitolata “La neve e il fuoco” realizzati da Maria Pace Ottieri e Luca Musella. Già molto affaticato non avrebbe voluto intervenire ma all’ultimo si fece convincere dall’insistenza dell’amata moglie Silvia. Alla fine ringraziò gli amici in sala non con la consueta e sbrigativa ritrosia ma distribuendo piccole, affettuose carezze, un saluto inusuale per lui, quasi un congedo definitivo.
Montanelli, Biagi, Bocca: i grandi della migliore stagione del giornalismo italiano non ci sono più. Erano legati da una solidarietà amichevole, venata da una blanda e altalenante competizione. “Ormai siamo considerati dei dinosauri” diceva Montanelli nei suoi ultimi anni . E aveva ragione.