C’è anche Guido Bertolaso tra i 41 destinatari dell’avviso di conclusa indagine firmato dai pm di Napoli Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo per lo scandalo del percolato versato nel mare della Campania. Il nome dell’ormai ex “uomo della provvidenza” sbuca a sorpresa in extremis tra le carte dell’inchiesta. A gennaio non risultava tra gli indagati, quando scattarono gli arresti per la sua ex vice Marta Di Gennaro e per il suo predecessore al commissariato per l’emergenza rifiuti, il prefetto Corrado Catenacci. Lo risulta adesso, insieme ad altri indagati ‘nuovi’, tra cui il prefetto ed ex commissario Alessandro Pansa, l’ex amministratore delegato di Fibe-Impregilo Massimo Malvagna, un altro dirigente di Impregilo, Armando Cattaneo, l’ex sub commissario Carlo Alfiero. Nomi che vanno ad aggiungersi a quelli di Catenacci, Di Gennaro e dell’ex governatore della Campania Antonio Bassolino.
La chiamavano ‘emergenza-percolato’, quel liquido nauseabondo e velenosissimo prodotto dalla fermentazione dei rifiuti in discarica o dal residuo di scarto della lavorazione nei Cdr. Nella Campania delle continue crisi-spazzatura, commissariata per 16 anni, era sempre più complicato smaltirlo. Poi l’inchiesta della Procura di Napoli ha scoperto che per anni tonnellate di percolato avrebbero inquinato il mare del napoletano e del litorale dei Campi Flegrei.
Nelle scorse ore la notifica dei 41 avvisi di conclusa indagine per reati che spaziano dall’associazione per delinquere alla truffa alle violazioni ambientali. Tra i destinatari ci sono amministratori ed ex amministratori pubblici, ex funzionari e dirigenti della Regione, del ministero dell’Ambiente, delle società concessionarie della depurazione. L’elenco degli indagati è lievitato di tre unità (ci sono anche due posizioni stralciate verso l’archiviazione) rispetto ai 38 accertati nel gennaio scorso, quando il Gip collegiale (Burno D’Urso, Francesco Chiaromonte, Luigi Giordano) emanò 14 ordinanze di custodia cautelare (8 in carcere, 6 ai domiciliari), accendendo un faro sulla gestione degli impianti di depurazione, utilizzati per smaltire percolato che però non erano tecnicamente in grado di trattare. Ai domiciliari finirono anche la Di Gennaro e Catenacci. Quest’ultimo il giorno dopo gli arresti si dimise dalla presidenza dalla Sapna, la società provinciale di Napoli dei rifiuti, incarico deliberato dall’amministrazione provinciale guidata dal Pdl Luigi Cesaro.
La Procura di Napoli sostiene l’esistenza di un accordo tra funzionari pubblici e gestori degli impianti di depurazione campani per immettere sul tratto di costa tra Napoli e Caserta percolato non trattato e altamente nocivo. In nome di un profitto e di un risparmio da raggiungere in spregio a ogni regola. E le 950 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare notificata undici mesi fa sono infarcite di intercettazioni inquietanti a sostegno di questa tesi. Come quella captata a Gaetano De Bari, amministratore delegato di Hydrogest, la società che fa funzionare il depuratore di Cuma. “A me della Campania non me ne frega un cazzo, non me ne frega dello smaltimento dei rifiuti, il problema è loro. Devo fare tutto questo per 20.000 euro al mese. Mi hanno chiamato, mi hanno fatto sedere su una sedia e mi hanno detto ti devi prendere il percolato”. Le pressioni sui gestori degli impianti per assorbire il veleno liquido erano notevoli. “L’assessore Nocera (ex Udeur, responsabile all’Ambiente nella giunta Bassolino) di fronte alle nostre obiezioni, dichiarò che se non avessimo seguito le sue richieste avrebbe fatto sequestrare gli impianti”. Un passaggio dei magistrati fu dedicato a Bertolaso: “Anche il commissario straordinario Bertolaso e il suo vice, Marta Di Gennaro, avevano consapevolezza della problematica del percolato, e tuttavia lo gestivano con assoluta sufficienza, e soprattutto in dispregio di ogni regola”.
Noviello e Sirleo sono i pm che hanno condotto le principali indagini sullo scandalo rifiuti in Campania, comprese quelle culminate nel processo a Bassolino e ai vertici dell’Impregilo. Entrambi a gennaio lasceranno la Procura di Napoli. Conseguenza di uno ‘strappo’ coi vertici della Procura risalente all’inchiesta ‘Rompiballe’, quando il procuratore capo Giandomenico Lepore (da pochi giorni in pensione) decise di stralciare il nome di Bertolaso dal fascicolo principale, dove erano contenute le accuse più gravi. Una decisione che Noviello e Sirleo non condivisero, rinunciando a firmare le richieste di rinvio a giudizio.