La festa degli psicologicamente inabili è finita. Non era appena cominciata, ma dopo 12 anni e 12 edizioni, decine di sconosciuti che – quando è andata male – hanno mangiato pane a tradimento per una o più vite comuni, verranno riposti in cantina. Resteranno in qualche pagina di libro, male che vada Wikipedia ne racconterà l’ascesa e la caduta. Ma finalmente possiamo dire che il 2011 ci ha portato una delle notizie più attese: il Grande Fratello chiude i battenti. E con la più dolce delle motivazioni: la causa è il calo di ascolti.
Mica possiamo sottovalutarla una cosa del genere. È vero, sono serviti tanti anni, ma gli italiani sono un popolo che viaggia su macchine turbo, ma sogna ancora i motori a scoppio. Se dopo 17 anni è arrivata la liberazione da Berlusconi e altri 17 ne serviranno per scacciare le nubi del berlusconismo, i 12 del Grande fratello sono un lasso di tempo, fatte le dovute proporzioni, relativamente breve.
Ma non è solo la trasmissione iniziata dagli occhi assassini di Daria Bignardi, proseguita dalla matrigna che tutti non vorrebbero avere, Barbara D’Urso, e chiusa dalla fidanzata d’Italia (un po’ attempata anche lei) Alessia Marcuzzi: ad andarsene, con il Grande fratello, è il modello di televisione firmato Endemol, azienda che ha una leadership non più incontrastabile nella creazione di format televisivi e una montagna di debiti, che fallisce dopo anni. Una società che nasce olandese e diventa per un terzo di proprietà Mediaset: a Endemol dobbiamo programmi come La Pupa e il secchione, Chi ha incastrato Peter Pan?, La fattoria, La prova del cuoco. E l’elenco è interminabile. Manca il Drive in, ma solo perché Endemol non esisteva e il format nasceva nelle stanze del fu palazzinaro Berlusconi.
Accogliere la notizia con un grido di gioia è esagerato? Probabilmente sì, in effetti se ne vedono di peggio, ma è un piccolo passo avanti. Perché è il pubblico che lo ha deciso. Ha spento il televisore, probabilmente cambiato canale. Segno di una maturità da telecomando, perché appassionarsi alle gesta di trenta psicolabili in cerca di successo facile non era sano. E non era sano neppure sapere che quegli psicolabili in realtà recitavano, erano scarti di altre trasmissioni dove avevano già partecipato come spogliarellisti, gente del pubblico, concorrenti. Erano falsi come i soldi del Monopoli. Ma questo il telespettatore, lo sapeva benissimo, intuiva che dietro la maschera del Grande fratello c’era un regista e in carne e ossa che muoveva i burattini, ma non gliene importava più di tanto. L’importante era credere che fosse realtà.
Oggi le macerie di 17 anni di cattivo governo, la recessione e lo spread, hanno cancellato tutto. Il Grande fratello, Endemol e i sogni di cartone. Siamo tornati alla realtà. Senza volerlo, ma abbiamo ricominciato a camminare coi piedi per terra.