Forse, è meglio così. Ma, certo, la differenza è stridente. Sei mesi fa, il decreto di rifinanziamento delle missioni di pace militari dell’Italia all’estero fu motivo di forti tensioni: il centrodestra sfiorò la crisi, con la Lega che prima non ne voleva sapere, poi chiedeva un termine all’impegno in Libia e infine si contentò di una riduzione dei costi (scesi da 811 milioni di euro a 694 per un semestre). Gli allora ministri degli Esteri, Frattini e della Difesa, La Russa spesero fiumi di parole, con la stampa e in Parlamento.

Sei mesi dopo, l’Italia pare un altro mondo (e un po’ lo è): nell’ultima riunione prima di Natale, il 23 dicembre, il Consiglio dei ministri ha varato – recita il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi – “un decreto che assicura la prosecuzione della partecipazione del personale delle Forze Armate e delle forze di polizia alle missioni internazionali e alle iniziative di cooperazione allo sviluppo, nonché il sostegno ai processi di ricostruzione e alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione in aree critiche”. Il decreto legge ha molti padri: la proposta viene dal presidente del Consiglio Monti e dai ministri degli Esteri, Terzi, della Difesa, Di Paola, dell’Interno, Cancellieri, della Giustizia, Severino e per la Cooperazione, Riccardi.

Politicamente, non se n’è accorto (quasi) nessuno. Le cronache di quel giorno registrano una dichiarazione del portavoce dell’ Idv Leoluca Orlando, per “razionalizzare e ridurre le spese militari”, riconsiderando soprattutto quella in Afghanistan, dove il contingente è già stato ridotto e lo sarà ulteriormente. Del resto, nel 2012 cominceranno ad andarsene pure gli americani. I ministri, anche i più coinvolti, Terzi e Di Paola, non hanno neppure detto una frase di plauso. Magari, il passaggio parlamentare sarà più animato. Quale fosse il clima, l’aveva spiegato due giorni prima il presidente della Repubblica Napolitano, facendo gli auguri in videoconferenza ai militari all’estero: “È nostra profonda convinzione che l’impegno delle missioni di pace all’estero resti un punto fermo della politica internazionale dell’Italia”. E Napolitano aveva aggiunto: “Ci sono impegni che non sopportano soluzioni di continuità tra una fase politica e l’altra” (Mr B. o Monti, insomma, nulla cambia).

E, in effetti, è difficile pensare che il premier Monti e i suoi ministri, attenti a restaurare l’immagine dell’Italia compromessa dai comportamenti e dalle amicizie del governo Berlusconi, potessero cominciare con un taglio alle presenze militari in Afghanistan o in Libano o nel Kosovo, creandosi frizioni con gli Stati Uniti e con i partner mediorientali e nei Balcani. E i risparmi? Una riduzione, rispetto agli stanziamenti del secondo semestre 2011, è assicurata dalla fine del conflitto in Libia: per le missioni in corso, potrebbe bastare mezzo miliardo di euro.

Il Ministro della Difesa, Di Paola, ammiraglio, già presidente del comitato militare della Nato, non ha mai ipotizzato allentamenti dell’impegno italiano nelle missioni internazionali. A fine gennaio, anzi, il comando della missione Unifil in Libano sarà italiano.  Confermati anche i compiti di lotta alla pirateria marittima e di addestramento di forze di sicurezza di vari Paesi, come Somalia e Iraq (fino al 31 dicembre 2012). Nuovi ruoli di formazione potrebbero essere assunti in Libia.

Il Fatto Quotidiano, 28 Dicembre 2011

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