L'ex allenatore del Milan a un passo dal Paris Saint Germain. Il proprietario della squadra è membro della famiglia reale del Paese arabo, per cui il calcio è l'ultimo anello di una strategia di business da svariati miliardi di euro all'anno che va dalle telecomunicazioni all'esportazione di gas naturale
A breve dovrebbe arrivare la firma di Ancelotti, che da un paio di giorni si trova a Parigi, dove allenerà il Paris Saint Germain. Per il tecnico reggiano è pronto un contratto di due anni e mezzo a 6-7 milioni netti l’anno, che ne faranno il tecnico più pagato della Ligue 1 francese. Poi si aspetta Beckham in scadenza di contratto con i Los Angeles Galaxy, previsti una quindicina di milioni di stipendio per allietare il suo soggiorno di un anno e mezzo all’ombra della Torre Eiffel. Infine è tutto pronto per l’assalto a Pato, dato che il brasiliano ha già cominciato a smarcarsi dal Milan con interviste non troppo tenere nei confronti del tecnico. Al Milan andranno una cinquantina di milioni, al giocatore un sontuoso ingaggio da top player internazionale. Tutto questo dopo che ad agosto i 52 milioni spesi per l’argentino Pastore avevano rotto i vecchi equilibri del calcio francese. Eh sì, sembrerebbe che a Parigi i milioni abbondino. Ma c’è un piccolo particolare: non sono soldi francesi. Dal 31 maggio 2011, infatti, il 70 per cento delle azioni del Paris Saint-Germain (PSG) sono in mano alla Qatar Investment Authority, il fondo sovrano della famiglia reale del Qatar che ha deciso di entrare in pompa magna nel mondo del calcio. Dopo Manchester e Malaga gli sceicchi sbarcano a Parigi. Chi sono i nuovi ricchi del pallone?
A differenza degli imprenditori russi o cinesi, che decidono di investire nei campionati locali comprando i nomi altisonanti di campioni oramai sul viale del tramonto, nella penisola arabica hanno sviluppato una nuova strategia: si acquistano club calcistici di medio livello e li si riempiono di campioni, con l’obiettivo di farne in pochi anni superpotenze in grado di competere con le storiche “grandi” squadre. Ha cominciato nell’agosto 2008 la Abu Dhabi United Group Investment and Development Limited, fondo di investimento della famiglia reale di Abu Dhabi, che ha acquistato per circa 250 milioni di euro il Manchester City. Nel giugno 2010 un membro della famiglia reale del Qatar, lo sceicco Abdullah bin Nassar Al Thani, ha comprato la squadra spagnola del Malaga, prossima al fallimento, per 38 milioni. A maggio di quest’anno suo cugino, l’erede al trono del Qatar, il principe Tamim bin Hamad Al Thani, ne ha sborsati 50 per il PSG. Nel mercato estivo, le tre squadre hanno spadroneggiato: il Manchester City ha speso 92 milioni, il PSG 86 e il Malaga 58. Per il resto dei club europei un’enormità a cui è impossibile tener testa. Il tutto alla faccia del fair play finanziario che secondo il presidente dell’Uefa Platini dovrebbe rendere più democratico il calcio europeo. Per loro bruscolini.
La Qatar Investment Authority, alla cui corte approderà Carlo Ancelotti, ha infatti un patrimonio stimabile in oltre 60 miliardi di dollari. Il Qatar è la terza riserva al mondo di gas naturale liquido e il PIL del paese è cresciuto drasticamente negli ultimi anni fino a superare i 170 miliardi di dollari. E quando la famiglia reale ha deciso di investire nel calcio la Francia è subito sembrata la destinazione ideale. La più importante società che gestisce le infrastrutture per lo sfruttamento dei giacimenti di gas liquido nel Qatar è infatti la francese Technip, già assurta agli onori delle cronache per lo scandalo del complesso petrolifero di Bonny Island in Nigeria, insieme all’americana Halliburton di cui è stato presidente Dick Cheney, il vice di Bush ai tempi della guerra al terrore. Il fondo sovrano del Qatar ha recentemente acquistato anche i magazzini Harrods a Londra, la casa di produzione hollywoodiana Miramax e, prima di darsi al calcio, ha investito pesantemente in Francia in palazzi, alberghi e centri commerciali. Oltre agli stretti rapporti per lo sfruttamento del gas naturale. Tanto che il pargolo Tamin Al Thani per ringraziamento è stato decorato con la Legion d’Onore transalpina.
Poi lo sport, da sempre un ottimo biglietto da visita per presentarsi nelle stanze dove si discutono gli affari e per rendersi belli nelle stanze degli spettatori. Il torneo di tennis dell’ATP, il golf, il circuito del motomondiale e infine il calcio, dove la famiglia reale ha mosso i primi passi acquistando, tramite la controllata Al Jazeera, i diritti televisivi per le partite all’estero del campionato francese. E’ anche riuscito a infrangere un tabù tra i più sacri del pallone, sporcando la maglia del Barcellona con lo sponsor. Nel 2006, dopo una resistenza ultracentenaria, il Barcellona aveva stretto un accordo con l’Unicef, per cui era la società spagnola a versare lo 0,7 per cento dei propri introiti al fondo per l’infanzia per potere portare sulla propria maglia la scritta Unicef. Nel 2010 il Barcellona ha venduto lo spazio sulla maglia – e l’anima – ai 30 milioni a stagione per 5 anni che gli corrisponde la Qatar Foundation, un’organizzazione no profit riconducibile alla famiglia reale. Adesso il PSG, l’ultimo anello di avvicinamento all’organizzazione dei mondiali di calcio in Qatar nel 2022. E non è un mistero che la delegazione francese all’interno della Fifa, su consiglio del presidente Sarkozy da sempre molto attento ai rapporti commerciali con l’emirato, abbia spinto molto in direzione dell’assegnazione dei mondiali al Qatar. Infischiandosene del fatto che i calciatori si alleneranno e giocheranno a quaranta gradi all’ombra e aspettando fiduciosi che i nuovi stadi siano costruiti con avveniristici impianti di aria condizionata. Se Parigi valeva una messa, il nuovo calcio val bene un po’ di caldo in più.