Politica

La comunicazione elitaria di Mario Monti

Sono molti i commentatori che oggi parlano dello stile di comunicazione di Monti. Per forza: dopo la lunghissima conferenza stampa di ieri (2 ore e 40 minuti, un’ora più del previsto) in cui Monti ha parlato molto, ma è riuscito a dire pochissimo sulla cosiddetta fase due della manovra (che ha battezzato «cresci-Italia»), non si poteva non cercare di capire come sia riuscito a fare questo piccolo miracolo comunicativo.

Ecco allora che Massimo Giannini parla su Repubblica del «linguaggio ruvido del disincanto» di Monti. Ma precisa: «Restano parole» e chiude il pezzo facendo l’elenco di tutto ciò che non ha detto. Ecco che Luca Telese descrive sul Fatto la metamorfosi di Monti da «capo tecnico» a «piacione», concentrandosi sulle sue battute che – mi fido del conteggio che ha fatto – sono state ben sedici e si distinguono da quelle di Berlusconi, perché «quelle di Silvio Berlusconi quasi sempre erano grossolane e facevano ridere solo lui (o Sandro Bondi). Quelle montiane sono molto argute, anche se spesso non si capiscono».  Ecco che Roberto Zuccolini sul Corriere evidenzia ancora una volta l’ironia di Monti e parla di «stile da professore a cui tutti ormai si stanno abituando». E il politologo Mauro Calise, sul Mattino di Napoli, saluta con favore il cambiamento di stile che Monti sta introducendo nella politica italiana: «È una piccola, importante soddisfazione poter dimostrare che è possibile comunicare ai propri cittadini anche le decisioni più difficili. Riuscire a farsi capire, e senza alzare il dito, o la voce». Una posizione simile a quella che ha sostenuto ieri anche Annamaria Testa, in un’intervista a Repubblica TV.

Sono d’accordo, a macchia di leopardo, solo con alcune di queste posizioni. Cioè:

1)L’abbassamento di toni che Monti porta nella politica italiana è perfetto per il periodo che stiamo vivendo. Non è detto che, passato il suo governo, questo stile possa continuare: non solo perché molti dei politici che ne hanno un altro resteranno gli stessi, ma perché pure gli italiani si sono ormai abituati da quasi vent’anni a toni ben più forti. Basterà una parentesi di poco più di un anno a farli cambiare?

2)La chiarezza di Monti è tutta da verificare: per una certa élite intellettuale quel che dice Monti è chiaro, ma per gli altri? In questo concordo con Luca Telese, che ha fatto il conto, oltre che delle battute, anche degli anglicismi e delle parole tecniche che Monti ha usato: quanti «comuni mortali» riescono a seguirlo.

3)Anche l’ironia di Monti ha un’efficacia elitaria: funziona con i giornalisti italiani e stranieri (ridono, annotano), funziona con l’élite politica internazionale che lui giustamente deve rassicurare, ma è raggelante per la parte più povera e meno colta degli italiani che o non la capiscono o la considerano una presa in giro che non tiene conto dei loro problemi e sacrifici. Se nella «fase due» della manovra, sui cui tutti abbiamo ancora il fiato sospeso, Monti non farà davvero qualcosa di concreto per queste persone e se non riuscirà a essere convincente anche per loro, la sua popolarità, ancora alta nonostante tutto, calerà drasticamente.

Insomma lo stile di Monti funziona in questa fase, perché c’è bisogno di parlare all’élite politico-mediatica internazionale, più che ai cittadini e alle cittadine italiane, e lui sa farlo. Ma quanto potrebbe funzionare in una campagna elettorale, in cui il leader deve rivolgersi direttamente a chi può votarlo?

In un paese come il nostro, in cui le fasce meno abbienti e colte della popolazione vanno ancora a votare, poco secondo me. In un paese con percentuali più alte di astensionismo, già di più. Chissà che paese saremo fra un anno.