Il Presidente della Repubblica in questa durissima fase ha scelto, per sua stessa ammissione, di mutare vesti e ruolo: non più arbitro nella scena politica e garante della Costituzione ma attivissimo giocatore in campo. Non sappiamo quanto durerà nelle valutazioni del Quirinale l’emergenza e dunque sino a quanto si permetterà la tracimazione degli argini relativi ai suoi poteri; tuttavia non entro più nel merito delle lacerazioni costituzionali gravide di conseguenze negative, e mi limito ad esercitare tutto il mio integrale diritto di critica politica per chi gioca e decide così le mosse da compiere.
Infatti anche ieri gli italiani hanno avuto un esempio concreto del forte imprinting di Napolitano al governo Monti e alle sue opzioni radicalmente liberiste e di classe. Secondo uno schema ormai consueto, nella prima pagina di ieri di Repubblica accanto al titolo principale “Monti, subito riforma del lavoro” (annuncio agghiacciante, vista la cd. fase 1), a destra troviamo la lettera di Giorgio Napolitano.
Commenteremo Monti quando avrà l’amabilità di fornire dati seri e concreti e non battute arroganti e presuntuose come quelle rilasciate in conferenza stampa, mentre assai più interessante è l’intervento del Presidente. Si tratta di una lettera assai ampia, dal tenore tipico di messaggio di fine d’anno (non c’è purtroppo d’attendersi di meglio o altro domani sera), molto retorico, propagandistico, con qualche contenuto di merito che conferma quanto ho sinora avuto modo di temere e manifestare a proposito del Presidente Napolitano. Riporto soltanto quattro passaggi, rinviando per il resto alla lettura integrale. Il Presidente, nel rappresentare la crisi, si abbandona a un autentico elogio del liberismo con immancabile e aspro attacco liquidatorio sia alle conquiste sociali del movimento operaio e della sinistra sia al PCI:
“tale discorso non può non investire le degenerazioni parassitarie del Welfare all’italiana, rifondando motivazioni, obiettivi e limiti delle politiche sociali”;
“per comprendere e affrontare le sfide di un’economia di mercato globalizzata, rimuovendo incrostazioni corporative e assistenzialistiche rimaste ancora pesanti nel nostro Paese, la lezione di Luigi Einaudi può suggerire riflessioni e stimoli fecondi”;
“dogmatismi e schematismi ebbero il sopravvento su ispirazione di cultura liberale pure presenti nello stesso PCI; e diventò difficile distinguere le verità del liberismo einaudiano”;
“da un lato, quindi, occorre fare più che mai i conti con la realtà del mercato e quindi del ruolo, già d’altronde ampiamente riconosciuto, che spetta all’iniziativa e all’impresa privata, con le sue esigenze di libertà, di affrancamento da vincoli che ne comprimono la competitività, e dall’altro c’è da valorizzare altre essenziali componenti di una visione liberale come fu quella di Luigi Einaudi”.
Mercato, liberismo, verità liberiste, welfare parassitario, impresa privata e necessità di minor vincoli… Parole che stanno bene in bocca a Sacconi, Brunetta o anche ai membri dell’attuale governo. Non una parola invece verso lavoratori, disoccupati, pensionati, donne, poveri, studenti… Tutto è chiaro, sig. Presidente. Il 2012 purtroppo sarà ancora un anno di dura crisi, ma sarà anche l’ultimo del governo Monti e del settennato Napolitano, e poi finalmente elezioni, speriamo libere.